Elly Schlein (Ansa)

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La linea ambigua di Schlein sull'Ucraina confligge con il Pse e delude i pacifisti

Luciano Capone

Da un lato c’è l’impossibilità di dissociarsi dalla posizione dell'Europa e del Partito socialista europeo, dall’altro le aspettative alimentate nel movimento "pacifista". Così il Pd ha sulle armi una posizione incomprensibile e inspiegabile che finisce per deludere tutti

La linea del Pd sulla politica estera di difesa è ormai incomprensibile. Ed è incomprensibile perché è inspiegabile. Non è, come si dice in questi casi, un “problema di comunicazione”: il problema è l’oggettiva impossibilità a comunicare una posizione confusa e infelice. Il pasticcio del voto tripartito (10 sì, 4 astensioni e un no) al Parlamento europeo sul regolamento Asap (Act to support ammunition production) per adeguare le riserve strategiche europee di munizioni è incarnato dalla figura di Brando Benifei, capodelegazione del Pd a Bruxelles, che in un’intervista di “chiarimento” al Fatto riesce a sostenere che il sì al regolamento è compatibile con la bocciatura dell’emendamento per escludere l’uso dei fondi del Pnrr per produrre armi, anche se a luglio il sì potrebbe trasformarsi in no se l’Italia dovesse usare i soldi del Pnrr.

 

“Quello approvato – ha detto Benifei – è un mandato a trattare con il Consiglio europeo su questi temi. Dopodiché, ci sarà un voto finale, probabilmente a luglio. Senza chiarezza sulla posizione del nostro governo, in quella sede il nostro consenso non potrà esserci”. Per poi rivendicare che “La linea del Pd è coerente con quella del gruppo dei Socialisti e Democratici”. È difficile trovare il filo logico in questo arzigogolo. Il Pd cambierebbe il suo voto a Bruxelles in base a ciò che fa il governo italiano a Roma, confondendo il ruolo del Parlamento italiano con quello europeo. Per giunta, questa eventualità entrerebbe in contraddizione con l’affermazione successiva secondo cui il Pd è “coerente” con il Pse, per ché si ritroverebbe a essere l’unico partito del gruppo socialista a votare in dissenso rispetto al gruppo.

 

Ma la colpa non è del povero Benifei che spiega male la posizione del Pd. Perché è proprio questa la non-posizione di Elly Schlein. Ed è così sin dall’inizio della sua segreteria. Schlein si è ad esempio espressa a favore del sostegno militare all’Ucraina, ma contro l’aumento della spesa militare sebbene questo sia stato un obiettivo indicato in atti ufficiali dal Pd negli ultimi due governi (Draghi e Conte). La giustificazione è che serve una Difesa comune e quindi si dovrebbero usare risorse europee. Quando poi l’Europa elabora uno strumento come Asap, che serve a produrre munizioni con fondi europei, Schlein non dà nessuna indicazione. Così nel gruppo si passa all’autogestione in cui ognuno vota un po’ come gli pare, nella convinzione di aver interpretato correttamente il pensiero della segreteria. Ma escludendo che Schlein non voglia dare all’Ucraina armi senza munizioni (e si tratta comunque di un azzardo interpretativo), con quali risorse vanno ripristinate le scorte? Europee o nazionali? Non si sa, non c’è mai una parola chiara.

 

E questo per un’ambiguità di fondo sui temi della guerra in Ucraina e della politica di difesa che Schlein non ha mai risolto. Da un lato c’è l’impossibilità di dissociarsi dalla posizione della Commissione e del Pse, pena la perdita di credibilità internazionale della nuova leadership: Schlein si ritroverebbe a votare come il M5s e i gruppi di estrema sinistra e di estrema destra filorusse. Non a caso, nel suo primo vertice con i socialisti europei a Bruxelles, a marzo, la neo segretaria del Pd si tenne perfettamente allineata dichiarando il sostegno anche militare all’Ucraina. Dall’altro lato, però, l’anima “movimentista” di Schlein ha alimentato molte aspettative di un cambio di corso nel campo della sinistra “pacifista” che ora fa fatica a controllare. Perché la segretaria del Pd sa benissimo di non poter andare fino in fondo. Se però all’inizio l’ambiguità può essere mantenuta alzando verbose cortine fumogene di “complessità”, alla lunga e di fronte a voti specifici l’inconciliabilità delle due posizioni inevitabilmente emerge e il rischio più concreto è quello di scontentare tutti.

 

Pina Picierno, europarlamentare del Pd, nel vuoto comunicativo della segreteria, in una lettera al Domani ha spiegato e rivendicato il voto a favore di Asap e del sostegno all’Ucraina della maggioranza del gruppo parlamentare democratico. Lia Quartapelle, deputata del Pd ed esperta di politica estera, in una lettera al Foglio ha difeso il voto a favore del gruppo del Pd “nonostante la vaghezza e le incertezze della segreteria nazionale”. Ma anche dal fronte “pacifista” inizia a palesarsi qualche critica, perché le aspettative frustrate si trasformano presto in delusione. Questo è esattamente il termine che usa Rosy Bindi: sulla guerra Schlein “mi ha già delusa – dice l’ex presidente del Pd nel nuovo libro di David Allegranti Quale Pd. Viaggio nel partito di Elly Schlein (Laterza) – quando nella prima intervista da segretaria ha ribadito che l’invio di armi è l’unico modo per aiutare l’Ucraina. Dalla sua biografia di donna con un cognome straniero e un background culturale internazionale – prosegue Rosy Bindi – mi aspetto un’attenzione meno conformista non solo sulla guerra ma soprattutto in politica estera”. Ancora più esplicito, dopo il pasticcio del voto sulle munizioni in Europa, è stato Nicola Fratoianni che pure aveva visto con favore la svolta a sinistra del Pd di Schlein: “In politica ci sono alcune regole semplici e alcune cose non si possono fare: non si può dire di essere contro e poi votare a favore. Non c’è bisogno di una grande complessità”. Difficile dargli torto.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali