Foto Quirinale

Il racconto

La sera andavamo al Quirinale. Istantanee del nuovo potere meloniano nei giardini di Mattarella

Simone Canettieri

Chi conta, o vuole contare, in Italia sta qui, al ricevimento del Colle per la festa della Repubblica. Tra sorrisi di sinistra, trasversalità Rai e il volemose bene tutto romano d’una festa ormai meloniana: “Chi l’avrebbe mai detto che saremmo arrivati fin quassù?”

“Noi. Qui. Così. Chi l’avrebbe mai detto!”. “Incredibile, ma è tutto vero”. E poi Francesco Rocca e Giampaolo Rossi si abbracciano. Il primo è stato eletto governatore del Lazio. Il secondo, in attesa di diventare amministratore delegato, è da poco direttore generale della Rai. Forse è la fine di una nuova fiction sugli anni 70 e i cuori neri. Di sicuro è l’inizio del ricevimento al Quirinale per la festa della Repubblica. Il primo dell’era Meloni. Fratelli d’Italia cin cin, e alla riscossa. Non è un caso forse che il primo ad abbandonare il party, dopo aver salutato il padrone di casa, sia proprio Mario Draghi. Due imprenditori campani lo fermano e lo ringraziano. “Ho fatto solo il mio dovere”. Una giornalista gli dice che sta scrivendo una biografia non autorizzata su di lui. “Sapesse quante cose ho visto che non si possono raccontare”, risponde Draghi. Che sulla terrazza, con vista immortale sull’Urbe, incrocia Fabio Panetta. “Mario, ti ho mandato la cosa che mi avevi chiesto”. “Ok, grazie”. L’ex premier esce di scena, il futuro governatore della Banca d’Italia è appena arrivato, riverito da tutti.

 

In questa staffetta di economisti romani, con l’accento Bce Frankfurt, c’è uno dei tanti sensi della serata. Le palme del Quirinale si dondolano davanti al mare venerato del nuovo potere. Si parla assai di Rai e si osserva la pipa nel bavero della giacca di Rossi, che fa molto  Tory. Svetta, già segugio di Montecarlo, Gian Marco Chiocci, che scovò la casa Fini-Tulliani nel principato di Monaco: domani inizia la sua avventura alla guida del Tg1. Assicura che non farà editoriali in diretta e che non nasconderà le notizie scomode per il governo. E’ scaltro, come chi ha fatto il marciapiede. “Auguri!”, lo saluta Elly Schlein. E scatta il siparietto.

Chi conta, o vuole contare, in Italia sta qui. Pensate a un nome: c’è. Si fa prima dunque a compilare la lista dei grandi assenti. Manca l’avvocato del pueblo Giuseppe Conte (i grillini, già razza padrona, sono una rarità tipo Gronchi rosa). Non c’è il senatore-direttore Matteo Renzi (è in Giordania, con grande senso del tempismo, al matrimonio reale del principe Hussein bin Abdullah II con l’architetta saudita Rajwa Alseif). E’ assente Silvio Berlusconi, e subito scattano gli aneddoti. Non è stato avvistato – ma forse c’era – Carlo Calenda. Paolo Gentiloni è al festival dell’Economia di Torino.

Ci sono gli ambasciatori di mezzo pianeta. Si muove agile – voilà – quello francese, Christian Masset (d’altronde qui se si mettesse male avrebbe lo scudo del Quirinale con corazzieri annessi). Salta all’occhio a un certo punto un capannello di kefiah e tuniche bianche e al centro un giovane uomo dalla carnagione olivastra: ma certo, è Luigi Di Maio, neo inviato Ue nel Golfo persico. Inglese fluente (“I’ll see you in Bruxelles”), l’ex ministro degli Esteri, e già ex tante cose, fissa un appuntamento con il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Non è accompagnato. Appena gli si fa una domanda di politica interna risponde così: “It’s not my business!”.  Gianni Letta e la signora Maddalena (senza crostata del patto, anche se, toh, ecco pure Massimo D’Alema in grigio Pcus) solcano i giardini con sorrisi compassati. Sergio Mattarella, in compagnia della figlia Laura, pare camminare sospeso in aria a mezz’aria  tra la folla che lo reclama e lo vuole salutare, ma anche toccarlo. Il capo dello stato incrocia la segretaria del Pd (le croniste di agenzia, allarmate, devono fare un lancio su come è vestita: armocromia).

Tra i due un saluto gentile ma assai rapido, senza indugiare in particolari cordialità anche per non regalare nulla agli occhi di chi osserva. Lei tenta un aggancio citando rapidamente un nome di donna evidentemente di comune conoscenza, lui annuisce e accelera il passo. Un giornalista navigatissimo del Palazzo commenta con un pizzico di retroscenismo e analisi: “E’ il saluto di un ex Dc alla neo leader che sterza tutto a sinistra”. Vai a capire. Gli assenti comunque hanno sempre torto. Ma insomma qui si stanno facendo i conti senza l’oste: dov’è lei? Dov’è Giorgia Meloni? Basta cercare Patrizia Scurti, “la segretaria padrona”, e tutto sarà più semplice.

La premier direttamente dalla Moldavia arriva intorno alle 19. Ed è subito Giorgia di qua e Giorgia di là. Notizia: la capa è di buon umore. Abbraccia un Enrico Vanzina visibilmente abbacchiato per la Roma, ma sempre fortissimo (“sono appena tornato da Budapest: che incubo”). Meloni scherza con i giornalisti come quando era al 4 per cento. Ruba i taccuini per leggere se ci sono cattiverie sul suo conto. Si fa i selfie con i cronisti (li chiama “origliatori seriali”) afferrando i loro cellulari. Brinda “alla Repubblica” con il capo dello stato. Altro che presidenzialismo, bollicine e premierato. Al compagno Andrea Giambruno – in silenzio stampa – i direttori di tutte le associazioni agricole del paese. E’ tutto un osanna Meloni nell’alto del Colle. C’è anche la sorella madre della real casa: Arianna. Confessa uno a uno, in maniera discreta, un sacco di parlamentari di Fratelli d’Italia. “Che le devono parlare un attimo”. Più lontano il marito di Arianna, il ministro Francesco Lollobrigida: ha soddisfatto la sua sovranità alimentare con qualche calice di Franciacorta di uve nere (veramente notevole). Il menu della casa propone: cannelloni di ricotta e spinaci, involtini di salmone con caprino, terrina di gamberi e rombo in alga nori, polpettine di ceci, melanzane arrostite, mozzarella farcita, paninetti, porchetta, bulgur di grano alle verdure, involtini di caponata. 

 

In sottofondo l’orchestra, poco calcolata, continua con sinfonie di Verdi e Mozart. “Ma adesso ci siamo noi: servirebbe musica più moderna”, scherza Paolo Trancassini, deputato-questore della Camera nonché titolare del ristorante La Campana (“dovevi portare i tuoi mitici carciofi fritti”, gli dicono i colleghi). I parlamentari semplici di Fratelli d’Italia, con il dress code imposto a inizio legislatura dalla premier, sono in disparte. Ma comunque ricercatissimi. Donzelli & Delmastro sono i colonnelli nella mischia. “C’è la Colosimo abbracciata a un uomo: vuoi vedere che è Ciavardini?”, vipereggia un cronista che vede trame nere ovunque. Invece è più semplicemente Fabio, futuro marito della presidente della commissione Antimafia, tutta contenta e fiera dopo aver stretta la mano a Mattarella. 

Mario Sechi, il capoufficio stampa di Palazzo Chigi, è rilassato. E scherza e fa battute con un intercalare sardo divertentissimo: “Ma è tutto in off, eh?”. C’è un clima repubblicano in purezza che si traduce in un enorme volemose bene, biglietti da visita, ti lascio il mio numero, ci vediamo dalle parti di Viale Mazzini, per quell’emendamento facciamo così. Una sospensione spaziotemporale dalla solita cagnara da Aula parlamentare e da talk show. E in più: manager (Flavio Cattaneo, senza Sabrina Ferilli), apparati dello stato. Divise e stellette sulle spalle. “Buonasera, sono Andrea De Gennaro”, si incontra all’ingresso, al nostro fianco, il comandante della Guardia di Finanza. Sigfrido Ranucci di “Report” va a salutare Meloni poi discute con Maurizio Gasparri di intercettazioni e di Salvatore Baiardo. Vittorio Sgarbi presenta a tutti l’ambasciatrice del Venezuela, o forse è del Paraguay. Lino Banfi chiacchiera con Daniela Santanché: open to orecchietta lemon. E’ l’acquario della nuova Italia. Paolo Sorrentino, dove sei?

 

Giovanni Floris al fratello d’Italia Federico Mollicone: “Ma perché non venite da noi? Giorgia è forte, durerà. Perché questa chiusura nei nostri confronti?”. Risposta: “L’unico che viene da te è Rampelli perché è un fondatore e fa quello che gli pare”. Il vicepresidente della Camera, Rampelli appunto, sembra emozionato e soddisfatto. Starà pensando, gonfiando il petto a quattro ante, guarda dove li ho portati: dai giardinetti di Colle Oppio a quelli del Quirinale. Va provocato. Ma non ci casca. E ci dedica il ritornello di una canzone degli Amici del vento, complesso di musica alternativa anni 70, quando la destra giovanile cercava la sua “via gramsciana”: “Sono un giornalista di regime, so raccontare balle sopraffine”.  

Il Pd è a suo agio, come d’abitudine. Schlein, qui senza compagna, si intrattiene con Guido Crosetto: il de bello ucraino, fra i due, dura un bel po’, e Lorenzo Guerini incrocia le dita. Dario Franceschini fa coppia fissa con Salvo Nastasi, grande intrattenitore. Avvistati: i sindaci per sempre Francesco Rutelli (con la moglie Barbara Palombelli, raffinata cronista che chiede a Matteo Salvini news sul Ponte sullo stretto), Walter Veltroni e poi spunta anche Roberto Gualtieri. Voce fuori campo: “E’ stato liberato da Valerio Carocci del Cinema America?”.   

I dem sono ovunque – quanto si diverte Nunzia De Girolamo, moglie di Francesco Boccia, ex ministra e oggi presentatrice tv, che proprio l’altro giorno stava a Palazzo Chigi  – così come il partitone Rai, della nuova Rai che ora vira a destra. Stefano Coletta, il direttore punito per il Sanremo rosa chemical, è l’unico in smoking e parla con la segretaria del Pd senza darle tregua. Il quadrilatero della moda di Viale Mazzini Rossi-Sergio-Corsini-Mellone è quello più ricercato. “Per i nuovi palinsesti abbiamo poco tempo, il nostro immaginario dovrà aspetterà un po”, dicono, abbastanza seri. Lucio Presta, super agente, sarà l’ultimo a lasciare i giardini. Ometteremo i nomi dei colleghi che vanno a questuare dai vertici Rai un posto, una trasmissione, fondi e rassicurazioni per il futuro perché così va il mondo e tutti devono lavorare (i direttori dei quotidiani sono pochissimi, immancabili invece Bruno Vespa ed Enrico Mentana). “Questa sì che sarebbe una bella fiction”, ride Fabrizio Salini, “uomo libero” dopo l’esperienza di ad nella radiotelevisione pubblica. “Adesso tutti dicono che avevano la camicia nera ben piegata nei cassetti o un nonno del Msi”, nota divertito Alessandro Giuli, giornalista-polemista e direttore del Maxxi.  

Giuseppe Carboni ora guida Rai Parlamento dopo un lungo purgatorio. Gli si avvicina sempre Mollicone: “Piacere, Federico”. “Piacere Giuseppe, quando ero al Tg1 mi facesti un sedere così con le tue interrogazioni”. Si ride. E si brinda. Antonio Tajani c’è e parla con la premier. Matteo Salvini è in disparte con la tribù leghista: didascalia dei tempi. Chiedono al capo della Lega, in compagnia di una freschissima Francesca Verdini, se abbia visto la partita della Roma: “Solo i calci di rigore”. Gelo. Nel crocchio leghista fa tappa fissa Licia Ronzulli. Giancarlo Giorgetti parlotta con Ugo Zampetti, gps del Palazzo. La festa meloniana è appena iniziata, e nessuno vuole andarsene. Solo posti in piedi. La sera andavamo al Quirinale.

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.