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Finanza, Inps e Le Pen: l'assalto di Salvini e Giorgetti a Meloni e Mantovano

Simone Canettieri

Il ministro dell'Economia fa sapere al Colle che il sottosegretario vicino alla premier non può decidere su servizi e apparati. Dietro allo scontro su Andrea De Gennaro a capo della Guardia di finanza c’è tutta l’insofferenza della Lega nei confronti di Mantovano

Vedremo se giovedì sarà il giorno buono. Fra cinque giorni è convocato un altro Consiglio dei ministri, dopo quello un po’ particolare di ieri l’altro. Dietro allo scontro su Andrea De Gennaro a capo della Guardia di finanza c’è tutta l’insofferenza della Lega nei confronti di Alfredo Mantovano, il super sottosegretario di Giorgia Meloni. Pendolo dei tempi di manovra della premier, mister nomina, uomo ponte con la Chiesa e soprattutto depositario dei dossier più importanti del governo. A partire dalla delega ai servizi segreti, motivo che ha armato Matteo Salvini e perfino Giancarlo Giorgetti. Se è vero, come è vero, che il ministro dell’Economia la mattina del Cdm ha fatto arrivare le sue perplessità sul metodo Mantovano fino al Colle più alto: il Quirinale.


La teoria dei vertici della Lega, giunta anche al capo dello stato, è la seguente: Mantovano non può controllare i servizi segreti e anche gli apparati dello stato, decidendo tutte le nomine. Insieme ai nostri 007, la Finanza rimane un avamposto più che strategico per il paese. E dunque il Carroccio, esprimendo appunto anche il titolare del Mef, nel governo è pronto al muro contro muro su De Gennaro. Sono poteri che si scontrano e su di loro si avvitano i desiderata della politica. Dal duello sulle Fiamme Gialle potrebbe uscire vincente un terzo nome, quello del generale Fabrizio Carrarini. La cosa interessante, e per certi versi inedita, è anche la posizione di Guido Crosetto, ministro della Difesa e tra i fondatori del partito di Giorgia Meloni. Anche lui è contrario al metodo Mantovano e non ha mancato di farglielo sapere giovedì scorso.

 

La nomina del successore di Zafarana ha bloccato anche quella del nuovo capo della Polizia e a cascata la scelta del prefetto di Roma. Un incastro ben assortito che vede la Lega in netta contrapposizione con FdI – a partire anche dal futuro della Rai – anche perché c’è tutto il pacchetto lavoro che manda in fibrillazione il governo. Anche in questo si parla di nomine. Nel Cdm dell’altro giorno è arrivato anche il blitz su Inps e Inail, con la decadenza degli attuali vertici (Pasquale Tridico e Franco Bettoni) e commissariamento nelle more della revisione della governance dei due istituti. Salvini non intende mollare la presa, soprattutto sull’Inps, strategico per le sue storiche battaglie sulle pensioni in ottica anti Fornero. Ecco perché rivendica un accordo stipulato al momento della nascita del governo con Giorgia Meloni: a te il ministero del Lavoro (con Elvira Calderone) a noi l’Inps. Pure su questo punto ci sarebbe però l’argine di Mantovano.

“Parlate con Alfredo”, è la risposta standard della premier. Quanto basta per aprire un altro fronte e far accrescere l’insofferenza del Carroccio nei confronti dell’ex magistrato diventato angelo custode della presidente del Consiglio. Non solo nomine, tutto è politica, soprattutto in vista delle Europee. Dopo la crisi con la Francia infatti i destini di FdI (e FI) e Lega segnano una divaricazione.  L’oggetto del contendere, nemmeno a dirlo, è Marine Le Pen. “Sono orgoglioso di essere amico e alleato della Le Pen che è l’unica nella politica francese a non avere mai insultato l'Italia e gli italiani”, dice infatti Matteo Salvini. Parole che arrivano in risposta alla stoccata dell’altro vicepremier, Antonio Tajani di Forza Italia: “Le Pen per noi a livello europeo non è un buon alleato, ma lo abbiamo sempre detto. Io non attacco e non giudico nessuno, dico solo che siamo diversi, siamo il Ppe”. In mezzo c’è Giorgia Meloni, come sempre. Che però pare aver già preso una decisione, e da tempo. Marine per lei è solo un ricordo. La presidente dei Conservatori europei, come si sa, guarda con interesse ai Popolari in vista delle elezioni del 2024. Con loro, pensa Meloni, si può fare un accordo, non con il gruppo di Salvini e Le Pen. E  almeno su questo non c’entra Mantovano. (s. can.)
 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.