Il fantasma di Le Pen. Perché la crisi tra Meloni e Macron segnala un problema tra Meloni e Salvini

Valerio Valentini

Come per la Ocean Viking a novembre, anche stavolta è la leader del RN a propiziare la zuffa diplomatica tra Roma e Parigi. "Attaccano Giorgia per colpire Marine, che non è nostra alleata", dicono in FdI. Messaggio per il capo della Lega, che però non ha intenzione di mollare la leader francese. Tajani: "Pretendiamo le scuse dall'Eliseo"

Orgoglio e buon giudizio. Questo, il senno, suggerisce a Giorgia Meloni di trattenersi, e non le riesce facile, dall’istinto che le risulterebbe naturale: replicare, contrattare. “Non saremo noi a esasperare i toni”, dice invece. Però quello, l’orgoglio, impone di tenere una certa “postura”, come usa dire. E dunque è Antonio Tajani a dettare la linea: “Pretendiamo delle scuse ufficiali dal governo francese”, fa sapere il ministro degli Esteri. Che è un modo per mostrarsi irremovibili, ma pure consapevoli che, in questa strana baruffa, Roma e Parigi hanno entrambe da perdere. Per questo Meloni morde il freno, predica cautela. Per questo, oltre che quello di “sabotatori dentro lo stesso governo francese”,  il fantasma evocato tra Montecitorio e Palazzo Chigi ha un nome e cognome: Marine Le Pen. Citofonare Matteo Salvini?

Del resto, Francesco Lollobrigida ne è convinto da tempo: “A Parigi attaccano noi per colpire Le Pen. Ma non è una nostra alleata. Anzi, non a caso ci siamo guardati bene dal sostenerla, nelle recenti elezioni francesi”. Questo il ministro dell’Agricoltura lo diceva già tempo fa, quando si sforzava, in prima persona, di facilitare una riconciliazione a suon visite cordiali con l’ambasciatore Christian Masset. E  rilette alla luce della zuffa  di queste ore, certe riflessioni fanno pensare.

Perché in effetti, come sul caso della Ocean Viking a novembre, anche stavolta l’incidente tra Roma e Parigi viene propiziato da Le Pen. E’ stato il suo pupillo, il novello leader del Rassemblement National, Jordan Bardella, a recarsi a Mentone, a denunciare “l’invasione” da parte dei migranti che dall’Italia cercano di attraversare la frontiera di Ventimiglia, a sbraitare contro “l’immobilismo di Macron che non fa nulla per fermare questo scempio”, ad aizzare elettori e follower contro “la bancarotta dello stato francese”. “In sostanza – ci spiegano esponenti di En Marche – sta rimproverando al governo francese di non fare ciò per cui Meloni accusa il governo francese di essere disumano: cioè i respingimenti alla frontiera. Bizzarro, no?”.

E insomma è su questo cortocircuito sovranista che il ministro dell’Interno, Gérard Darmanin, interpellato in diretta televisiva sulle accuse  di Bardella, si sofferma. “Questo afflusso straordinario di migranti a Mentone avviene perché la signora Meloni, con gli amici di estrema destra che Le Pen si è scelta, è incapace di risolvere il problema migratorio sul quale è stata eletta”. E sarà pure una constatazione oggettiva dei fatti, ma nel galateo diplomatico tra due paesi che si vorrebbero alleati è un clamoroso inciampo. Tanto basta perché Tajani e Meloni si sentano. Convengono nel temporeggiare, sulle prime. In ballo c’è una cena, quella tra il ministro degli Esteri e la sua omologa Catherine Colonna prevista a Parigi per la serata, che dovrebbe avviare la pacificazione in vista della visita che la leader di FdI ha in programma per metà mese all’Eliseo. E’ un riavvicinamento, quello tra Meloni e Macron, da cui del resto passano interessi strategici per entrambi, nelle trattative europee. A partire da quelle sul Patto di stabilità, dove bisogna reggere alla forza d’urto di una Germania che predica una stretta rigorista. “La verità è che di tutto abbiamo bisogno in questo momento tranne che di ulteriori divisioni”, dice non a caso Guido Crosetto.

Anche per questo alla Farnesina decidono di attendere, convinti come sono che l’uscita improvvida di Darmanin vada letta come l’atto di un’ala del governo francese che risponde solo in parte alle volontà di Macron. Avvelenatori di pozzi, insomma. La cena a Parigi è dapprima “congelata”. Si decide di annullarla quando, dopo qualche scambio informale, da Parigi trapela una certa indifferenza. Il comunicato dell’ambasciata francese a Roma, che ribadisce l’interesse comune nella ricerca di una soluzione condivisa sul dossier migratorio ma senza fare alcun accenno alle parole di Darmanin, viene visto a Palazzo Chigi come il sigillo della crisi. Almeno per ora.

Resta, però, l’ingombro di Le Pen. E resterà, pare, a lungo. Perché la scommessa macroniana, più o meno esplicita, è chiara: scommettere sull’indebolimento di Meloni per disinnescare la minaccia nazionalista del RN, dimostrare l’inconsistenza dell’ultradestra alla prova della realtà. E certo Meloni non pronuncerà, tanto più se gliela si chiederà, alcuna apostasia verso Le Pen; ma, pure, non è contenta di finire schiacciata in un perverso gioco di sponde. Prendere le distanze dalla leader francese? “Questo forse sarebbe intelligente farlo”, sussurrano dentro FdI. “Ribadire che non c’entra nulla con noi, che infatti a Bruxelles siamo coi Conservatori, non con gli euroscettici”. Messaggio da recapitare a Salvini. Il quale, però, pur riflettendo sui destini europei della Lega, non è affatto disposto ad abbandonare “l’amica Marine”. Se quello coi tedeschi di AfD è un matrimonio d’interessi, e potrà essere sacrificato, quello con Le Pen è un connubio fondato su stima reciproca. “E io non tradisco gli amici”, ripete il vicepremier. Orgoglio anche qui. Buon giudizio? Chissà.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.