Andrea Crippa (Ansa)

L'intervista

“In Ue la Lega cambi: andiamo col Ppe”. Parla Crippa, il vice di Salvini

Valerio Valentini

Scaricare l’ultradestra europea, aprire ai Popolari in vista delle europee del prossimo anno, sostenere Kyiv. La versione del vicesegretario del Carroccio

Certo che le alleanze contano. Di più. “Le alleanze, vuoi o non vuoi, ti qualificano, spesso contro la tua intenzione”. E insomma Andrea Crippa fa ricorso all’Ecclesiaste. “C’è un tempo per ogni cosa. E questo per noi della Lega non può essere più il tempo dell’ambiguità. Non può esserlo soprattutto sulla politica internazionale, dove siamo chiamati a fare scelte di campo precise”. Fosse per il vicesegretario del Carroccio, la decisione sarebbe scontata. “Dalla parte dell’Ucraina e della Nato sul fronte orientale”. E poi? “E poi, bisognerebbe uscire  dal gruppo di Identità e democrazia in Europa”. Eppure non lo si fa. Matteo Salvini tentenna. Altri, intorno a lui, predicano la necessità di “non snaturarsi”. “Per questo serve un dibattito franco nel partito”.

 

Sulla natura, appunto: su questo andrebbe aperto il confronto secondo Crippa. “Sì, perché quella della Lega è la natura di un partito di governo. E questa è una scelta che è ormai stata fatta, da anni, e confido che sia irrevocabile. Guidiamo da decenni le più importanti e produttive regioni del paese. Abbiamo ministri con incarichi importantissimi. Ci siamo assunti responsabilità nell’esecutivo anche in momenti in cui forse sarebbe stato più vantaggioso restarsene all’opposizione”. Eppure? “Eppure, veniamo percepiti come ‘gli amici italiani degli estremisti tedeschi’”. Ce l’ha con AfD, il partito di ultradestra antieuropeista con cui il Carroccio condivide i seggi nel Parlamento di Bruxelles. “Quell’alleanza ci fa male, appunto perché indebolisce la nostra caratura di partito di governo”.

 

Che fare, dunque? “Uscire da quel gruppo, abbandonare Id”. Con quale prospettiva? “Quella di aprire un dialogo vero col Ppe, cercare alleanze coi Popolari anche in vista di una tornata elettorale, quella del maggio 2023, in cui verosimilmente il Carroccio otterrà risultati migliori rispetto a quelli dei nostri amici di Forza Italia, e dunque una nostra presenza nel Ppe può rafforzare la componente italiana”. Sempre che il Ppe vi voglia, ovviamente. “L’alternativa sarebbe quella di creare un blocco di partiti di centrodestra con spiccati connotati governisti, facendo squadra con i Conservatori e altre componenti. L’obiettivo, in ogni caso, è connotarci come una forza che spinge il Ppe ad abbandonare l’abbraccio coi Socialisti e a seguire un’agenda coerente con la sua storia e le sue tradizioni”. C’è chi vi dirà che così rincorrete Giorgia Meloni, che grosso modo ha una strategia analoga. “Semmai la scavalcheremmo, visto che possiamo aprire, prima di lei, un dialogo coi Popolari”.

 

Non è passato, il vostro turno? Non sarebbe stato più logico farla durante la stagione del governo Draghi, questa operazione? “Io ero tra quanti la auspicavano già allora. La scelta di sostenere Draghi forse non era quella elettoralmente più favorevole, nel breve periodo, ma indicava una scelta chiara di prospettiva: la Lega come partito che vuole contare, in Italia e in Europa. Il nostro elettorato, è vero, non ha simpatia per certe logiche di Bruxelles. Ma apprezza, sempre, che il Carroccio provi a incidere, a cambiare le cose. Limitarsi a urlare non basta, non serve”. E poi c’è la Russia, si diceva. “Anche lì, lasciare a FdI il monopolio dell’atlantismo sarebbe un errore. Non possiamo che prendere, definitivamente, posizione a favore dell’Ucraina, condannando l’invasione di Putin come un’azione che viola il diritto internazionale e la dignità di un popolo sovrano”. Eppure, anche qui, le visioni sono variegate, nella Lega. Basti pensare che, se il capogruppo alla Camera, Riccardo Molinari, sostiene le ragioni della Nato, quello al Senato, Massimiliano Romeo, è quantomeno esitante. “Quella che a noi può sembrare cautela appare all’estero, troppo facilmente, come doppiezza. E non possiamo permettercelo. Anche per questo mi auguro che ci sia un bel dibattito nel partito, per sciogliere questi nodi, per arrivare a un chiarimento”.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.