Meloni pensa alla ricostruzione dell'Ucraina, ma cercando di sparigliare in Europa

Valerio Valentini

La Conferenza dell'Eur non è quello che la premier sognava. Bce e Bruxelles snobbano l'evento, ma per la capa di FdI può essere l'occasione per smarcarsi da Parigi e Berlino. I 400 miliardi in ballo e l'incognita di Salvini. Il primo ministro Smyhal vedrà il Papa

Offrirà visibilità provando a guadagnarla. Traccerà scenari in cui spera di poter entrare. Garantirà centralità, in Europa, nell’ambizione di poterla lei stessa occupare. E’ insomma un po’ un gioco degli specchi, quello che andrà in scena oggi al Palazzo dei Congressi dell’Eur. Giorgia Meloni sperava all’inizio di poterla trasformare in qualcosa di più importante e più decisivo, questa Conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina. Una sorta di vertice europeo sotto l’egida italiana, questo doveva essere. Sarà un bilaterale, alla fine. Non ci sarà Volodymyr Zelensky. La ministra dello Sviluppo economico, Yulia Svyrydenko,  sarà collegata da remoto. I titolari di Economia, Agricoltura ed Energia delegheranno i loro vice, e un paio ancora “to be confirmed”.  Eppure, la scommessa della premier è lì: pronta per essere lanciata.

E dunque, in assenza di Zelensky, il ruolo di alto rappresentante del governo di Kyiv spetterà al primo ministro, Denys Shmyhal. Agenda di prim’ordine: l’incontro con Meloni e con Sergio Mattarella, poi coi presidenti delle Camere; quindi, a seguire, oltre a una sosta presso l’Ordine di Malta, tappa in Vaticano. Dove, sul piano diplomatico, ci sarà forse l’evento più decisivo: il colloquio con Francesco e il segretario di stato Pietro Parolin.

Prima, però, al Palazzo dei Congressi, si parlerà soprattutto di investimenti. Sette tavoli tematici, tutti rigorosamente a porte chiuse. Poi sessione plenaria. Ad aprire i lavori sarà Antonio Tajani, che riceverà il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba, che ci ha tenuto a esserci sia pure per poche ore. Ma a parlare, oltre a Giancarlo Giorgetti e Adolfo Urso, dovrà essere anche Matteo Salvini, che si confronterà col ministro delle Infrastrutture Oleksandr Kubrakov. Uno che pochi giorni fa, interpellato per un dichiarazione preventiva, ha lasciato trapelare che non intendeva commentare prima che la Conferenza fosse conclusa. C’è chi c’ha visto come un residuo di sospetto nei confronti di quel suo omologo leghista che, in quanto a  relazioni con Vladimir Putin, come dire, vabbè. Eppure proprio quello, le Infrastrutture, sarà un dossier decisivo. Perché l’Ucraina deve ricostruire ferrovie e binari, e vuole adeguarli agli scartamenti europei (integrazione su rotaia, quantomeno), e perché tra i campioni italici Rfi è tra le più interessate alle faccenda, consapevole com’è dell’enormità delle possibili commesse e della concorrenza, anche europea, che già si prospetta.

E qui si coglie meglio, allora, il senso dell’iniziativa. Che è economica, certo, se è vero che tra Palazzo Chigi e la Farnesina valutano in 411 miliardi la ricostruzione ucraina, con un interesse potenziale per 600 aziende italiane. Ma la partita è, evidentemente, anche politica. E’ un po’ la sfida che l’underdog dell’Eliseo, la capa della destra snobbata da Emmanuel Macron e Olaf Scholz, lancia a Bruxelles, guardando a Washington. Tanto più ora, con una Francia che cerca spazio di manovra per  una possibile mediazione tra Mosca e Kyiv, Meloni reciterà invece la parte dell’intransigente: con l’Ucraina senza se e senza ma, fino alla fine, fino a una pace giusta e dignitosa. 
E però, sarà il messaggio della premier, non si potrà certo attendere la fine del conflitto per pensare alla ricostruzione, o quantomeno alle sue premesse. Anzi: per certi versi la definizione di nuove regole del gioco nel tempo della pace che verrà potranno avvicinarlo, quel tempo, un po’ come Bretton Woods anticipò la vittoria alleata. Un nuovo ordine mondiale in cui, secondo Meloni, l’Italia dovrà saper stare, senza tentennamenti, dalla parte giusta del campo e della storia. Per questo mostrarsi vicini all’Ucraina, oltre che esserlo, e dunque ospitare l’evento di oggi, ha una sua importanza.

Poi, certo, ogni ambizione va guardata nella giusta prospettiva. E l’Italia è l’Italia. Tajani annuncerà la candidatura di Roma a ospitare una futura Conferenza internazionale per la ricostruzione: quella che l’anno scorso si svolse a Lugano, e che a giugno avrà luogo a Londra. Ma per il 2024 s’è già fatta avanti la la Germania, per cui tocca accontentarsi del 2025, sempre che altri non avanzino pretese più sostanziose. Anche sulla procedura d’ingresso dell’Ucraina nell’Ue – tema su cui Mario Draghi s’era speso non poco, anche a dispetto delle riluttanze francesi – la premier mostra grande cautela: ci si muove in un’ottica multilaterale, non sono consentite fughe in avanti, anche perché l’integrazione europea si lega a quella che riguarda la Nato, e insomma adelante, si, ma con juicio. Insomma, se non quella di primeggiare, c’è l’ansia di non restare indietro sul piano delle opportunità d’investimento: una sollecitudine che potrà far guadagnare a Meloni anche le simpatie di Confindustria, presente col suo leader Carlo Bonomi e la sua vice con delega all’Internazionalizzazione, Barbara Beltrame. E certo la presenza del presidente della Bei Werner Hoyer, oltre a rappresentanti di rilievo della Banca mondiale e del Fmi, sarà di conforto a queste ambizioni, e magari proverà a far dimenticare i tentativi andati a vuoto di coinvolgere i vertici della Bce, oltreché di Commissione e Consiglio europeo, che invece hanno declinato l’invito. 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.