Il racconto

O Fuortes o muerte!

Carmelo Caruso

Da paparazzo a signore dei teatri italiani con la destra, con la sinistra e con il M5s, grazie alla triade Veltroni, Gianni Letta, Franceschini. Nominato da Draghi alla Rai e assediato da FdI. Ha vinto: Meloni gli darà la Scala

Pure l’anagrafe è dalla sua parte. Si chiama “Fuortes”, Carlo, ed è l’amministratore delegato dei caraibi Rai, il pirata, il corsaro. Le sue origini sono salentine. E’ figlio di Tommaso Fuortes, medico di Giuliano (594 abitanti), frazione di Castrignano del Capo, provincia di Lecce. Il nonno materno, per gli eruditi locali, era nientemeno che il “valoroso Don Achille De Nitto di Tricase”, marito della nobildonna Maria Miranda. Signori, forza, sedetevi! Sipario! Vi raccontiamo la vita e le gesta di Carlo Fuortes, amministrador della confundida televison de estado, da tutti conosciuta come Rai, enorme sventura nacional. “Andarmene io? Lasciare? Ma voi non mi conoscete”. E’ vero, e rimediamo.

 

Dal 9 luglio 2021, giorno della sua nomina, non c’è settimana in cui non si sia meritato almeno tre articoli. Da sei mesi è il caballero che traballa, ma che non molla. Il cavallo di Viale Mazzini è ormai il suo ronzino. Da quando c’è Giorgia Meloni premier si ripete, e nel governo lo ripetono tutti, “è solo questione di settimane. Se ne va”. E’ arrivato il momento di scriverla tutta. Dunque, da quando Meloni è premier, non si sa come, ma si sa che è accaduto, Fuortes è stato ricevuto a Palazzo Chigi ben due volte con tanto di nota istituzionale: “Oggi la presidente del Consiglio…”. Lunedì, 6 marzo, l’ultima, a Fuortes è riuscita la doppia e “valiente” impresa: ha guadagnato tempo e ha strappato la copertura politica di Meloni. Señora Giorgia ha infatti ordinato ai membri del Cda (in quota centrodestra) di votare il bilancio Rai. Ha promesso, subito dopo, a fine aprile, di rivedere Fuortes, il che significa: obbedite! Avete già la prima grande lezione, un po’ scalacagnadas, di questo cunto de li cunti: si comincia con il machete e si finisce con il coltello spalma burro: “Parliamo, una soluzione si trova”. Fuortes era il primo grande manager che doveva essere sostituito da Meloni. Per dirla come Alcide De Gasperi la disse agli americani: “Sento che tutto è contro di me tranne la vostra personale cortesia”. Era, ed è ancora, tutto contro Fuortes. E’ un uomo del Pd che oggi il Pd disconosce: “Ma chi, Fuortes?”. E’ stato scelto dagli uomini di Draghi ma oggi c’è Meloni. Il Cda Rai gli è ostile perché teme di cadere insieme a lui. Il Festival di Sanremo non vi diciamo neppure che excelente desconcierto abbia provocato (l’Agcom è in agguato). I dirigenti Rai sono in agitazione e lo vorrebbero sollevare di peso (viale Mazzini sembra Pamplona nel giorno della festa di San Firmino). I dipendenti sono invece preoccupati di finire disoccupati, insomma, per dirla in maniera Fuortes, in mezzo en le calle. E lui, Fuortes, cosa fa? Una solo parola: “Resistencia!”. Vuole essere nominato dal governo sovrintendente della Scala di Milano (già nel 2019 era in corsa per quell’incarico). Peccato che la Scala abbia già un sovrintendente, Meyer, che scade nel 2025. Ha rifiutato il Maggio Fiorentino perché il suo motto è “O Fuortes o muerte!”.

 

Se fossimo a Parigi, città che Fuortes ama e dove lavora una delle due figlie (Maria, designer di Dior, l’altra, Agnese, studia all’Aja), sarebbe il film “Fino all’ultimo respiro”, ma dato che siamo a Roma, città dove Fuortes è nato nel 1959, si può benissimo usare il “Gastone” (così lo chiamano, ma anche “Carlo Tarzan”) protagonista della commedia di Ettore Petrolini: “Sono sempre ricercato / perché sono ben calzato / con la riga al pantalone”. E’ Carlo Fuortes Gastone. Ha studiato al liceo Giulio Cesare (il liceo di Franco Frattini e di Antonello Venditti) e si laurea in Scienze statistiche ed economiche alla Sapienza di Roma con Paolo Sylos Labini e Luigi Spaventa. Si era perfino avanzato il nome di Fuortes come candidato sindaco dopo le dimissioni di Ignazio Marino e prima della candidatura di Roberto Gualtieri. Fuortes è anche insegnante di Conservazione dei beni culturali presso l’Università della Tuscia. In realtà è il rettore di un’università che non esiste, ma più vera delle vere. E’ l’Università “Vita e Salute (a) Walter Veltroni”, che ha ovviamente sede a Roma. Se solo fosse istituzionalizzata esploderebbe di iscrizioni. E’ a numero chiusissimo e si accede solo dopo aver letto tutti i romanzi gialli, gli articoli, recensito i film di Veltroni. Come si capisce: solo uno su mille ce la fa. Al primo anno si studiano i Quaderni di Goffredo Bettini, al secondo, la dissimulazione onesta di Dario Franceschini mentre al terzo si fa il corso di “intortamiento” di Gianni Letta. E’ un’eccellenza italiana e i professori non hanno colore politico. Fuortes, prima di essere proclamato rettore, è stato matricola, studente prodigio di Veltroni che gli affida, nel 2003, la guida dell’Auditorium Parco della Musica, a sua volta cantiere affidato da Francesco Rutelli a Bettini.

 

Oggi sembra impossibile ma Fuortes, una volta, si è pure dimesso. Dal 1998 al 2001 è stato consigliere del Cda del Teatro di Roma in quota Ds. Lasciò la carica per solidarietà nei confronti del regista Mario Martone allora direttore contestato. Al posto di Fuortes venne chiamato il giornalista Sandro Curzi. Il picaro Fuortes afferra un’altra liana. Viene nominato direttore generale del Palazzo delle Esposizioni e delle Scuderie del Quirinale succedendo a Luigi Zanda, il presidente della repubblica dei distinti, che aveva già chiamato Fuortes a lavorare all’Agenzia del Giubileo. A questo punto, non resta che chiamare Zanda. Pronto: “Eccomi, carissimo Foglio. Il problema non è Carlo ma è la Rai. Non conosco amministratori delegati che abbiano fatto meglio di Carlo e, credetemi, ne ho conosciuti. Ogni ad Rai è stato sempre processato”. Ma nessuno ha mai avuto gli avvocati di Fuortes. A destra, lo tutela Gianni Letta: “Come stai, cavo Cavlo?”. Al centro, lo stima Andrea Riccardi di Sant’Egidio. A sinistra, ha più iscritti lui che Articolo Uno di Roberto Speranza. E’ amico di Franco Bernabè, di Luigi Abete, di Giovanni Malagò, di Francesco Gaetano Caltagirone, Jakaranda Falk, Roberto D’Agostino, Innocenzo Cipolletta, Roberto Benigni, Corrado Augias, e lo era di Romiti. E poi storici, cantautori che si esibivano all’auditorium, oggi tutte tigri di “Cavlo”. Lo soccorrono pure all’estero. Frequenta stabilmente l’ambasciatore tedesco. Ogni 14 luglio viene invitato dall’ambasciata di Francia. Quest’anno, solo per dire, era ospite a Palazzo Farnese insieme a Laura Mattarella, figlia di Sergio. La rubrica telefonica di Fuortes vale quanto i lingotti tenuti nel caveau di Bankitalia.

 

Ogni sera, Fuortes, prima di andare a letto, si inginocchia e prega nostro Signore per avergli fatto incontrare Salvo Nastasi, l’ex capo di gabinetto di tutti gli ultimi ministri della Cultura sia di destra sia di sinistra (era potente Nastasi o erano i ministri che avevano bisogno di Nastasi?). E’ Nastasi il suo vero Yanez, il suo hermano, colui che a Fuortes ha spianato la carriera. Per un anno, il 2012, Fuortes ha cumulato tre incarichi. Era sovrintendente del Teatro dell’Opera di Roma, ma anche commissario straordinario al Teatro Petruzzelli di Bari nonché ad della Fondazione musica per Roma. Nel 2016, sempre sovrintendente del Teatro di Roma, viene incoronato commissario straordinario per l’Arena di Verona (la moglie di Fuortes, Anna, è docente di Letteratura americana a Padova). E’ un kamasutra di cariche. Quando Fuortes era direttore del Parco della Musica aveva voce in capitolo sulla Festa del Cinema di Roma che si teneva, immaginate dove? Al Parco della Musica.

 

Siete stati pazienti e vi meritate quindi di sapere: ma insomma Fuortes come diventa mucho Fuortes? Lo diventa da sovrintendente del Teatro dell’Opera dove ci rimane con la sinistra di Veltroni, la destra di Alemanno e pure con Virginia Raggi, sindaca del M5s. La sua prima volta all’Opera di Roma è nel 2013. Appena nominato annuncia che “il teatro è carico di debiti e rischia la liquidazione coatta”. In una conferenza stampa (ci sono ancora gli articoli) attacca la gestione precedente di Bruno Vespa. Titolo: “Fuortes sbugiarda Bruno Vespa”. Che c’entra Vespa? C’entra, c’entra. Vespa era vicepresidente del Teatro dell’Opera e sul Corriere della Sera, prima di congedarsi, manda una lettera dove parla di teatro risanato. Fuortes parla invece di buco colossale: 10 milioni di euro. Oggi Vespa, il giornalista Rai che sussurra a Meloni, è un sodale di Fuortes e Fuortes l’ad che gli ha permesso di avere la striscia che è stata di Enzo Biagi. Qualcosa di simile è accaduto con un altro degli arcinemici di Fuortes. E’ Federico Mollicone, presidente della Commissione Cultura di FdI, e in passato, da consigliere comunale, fustigador di Fuortes. Lo aveva perfino definito un imbroglione, accusato di gonfiare i dati dei biglietti del 34 per cento. Pochi mesi fa sono stati fotografati chiacchierare amabilmente. Ma questa è storia recente.

 

E’ dal 2013, da quella conferenza fatale, che inizia l’epica di Carlo il risanator (passione per i vini, Barbaresco e Pinot neri di Borgogna) in lotta con i sindacati Slc-Cgil, Libersind, Fials, “ora vi faccio vedere io, con la mia sciabola”. Quando si insedia, al Teatro dell’Opera di Roma, ha il privilegio di avere come direttore Riccardo Muti e come disgrazia quella di dover gestire una banda scalmanata di orchestrali con qualsiasi tipo di indennità oltre allo stipendio. Ti soffi il naso? “Bravo, cento euro in più”. Vai da Roma centro a Caracalla? “Ma questo è un viaggio intercontinentale. Premio, bonus!”. Per mantenere guarentigie, gli orchestrali chiedono a Muti di prendere le loro difese. Fanno irruzione nel suo camerino come fossero i contadini armati di forconi del film “Allonsanfàn”. Muti, sconvolto, lascia. E’ un terremoto. 19 sigle sindacali in marcia, scioperi, concerti che saltano. E’ una Lepanto. E Fuortes riesce a domarla a suo favore grazie alla filosofia: “Ora è qui. Del domani ce ne occupiamo dopodomani”. Ingaggia una lotta che i giornali cantano come “storica”. Licenzia e pensiona. Solo tempo dopo, troppo tempo dopo, in molti si chiederanno, ma Fuortes dov’era quando Muti veniva minacciato? Sono trascorsi anni ed è un fatto. L’uscita di Muti corrisponde con la l’ascesa di Fuortes. Si inventa il crowdfounding, cambia la disposizione della biglietteria progettata dall’architetto Piacentini, invita i registi Emma Dante, Damiano Michieletto, uno che piace alla critica milanese. Improvvisamente il Teatro dell’Opera, da sempre snobbato, e definito un teatro di provincia, si guadagna paginate, reportage sui settimanali. Nel 2016 sbarca a Roma, fiato alle trombe, Francis Ford Coppola. La figlia, Sofia, è la regista della Traviata e i costumi sono di Valentino. Sui quotidiani è Apocalypse Fuortes perché, alla fine, opera e giornalismo si riducono a questa massima: “Dammi due posti a teatro e ti darò dieci aggettivi”.

 

Perché nascondersi? Fuortes è stato assemblato dai giornali perché Fuortes conosce i giornali. A vent’anni, per entrare a teatro, faceva il paparazzo con la sua Leica e con la sua Pentax K2, “le uniche macchine fotografiche che non fanno rumore durante i concerti di musica classica”. Ha venduto le sue fotografie a Repubblica, Espresso, il Messaggero, il Corriere. Da allora possiede tutti i numeri di telefono dei giornalisti di Roma, dei direttori, e li chiama personalmente perché ha afferrato una mediocre verità. Questa: un giornalista invitato alla prima della Turandot si trasforma in un orchestrale, ma un giornalista invitato alla prima della Turandot, e alla cena che segue la prima della Turandot, ti può candidare presidente della Repubblica. Valeva con Maupassant, vale oggi, e continuerà a valere: è solo scaduta la qualità dei ruffiani. Nient’altro.

 

Fuortes va perfino ringraziato: è l’unico che ha provato a tenere alta quella qualità. Da sovraintendente dell’Opera di Roma ha organizzato cene nel foyer che hanno cambiato la vita del lumpenproletariat culturale. Sindaco, presidente di Confindustria, generali della GdF… Immaginate cosa significa per un giornalista avere accesso a quel foyer, orecchiare le paturnie del sottosegretario di stato o sapere dei calli del ministro. Un calice, la battuta giusta, un “mi richiami”, e un redattore ordinario diventa caporedattore, un caporedattore promosso inviato. Dal dorso locale si sposta a quello nazionale. Dal nazionale in televisione, dalla televisione all’editoria, dall’editoria alla partecipata di stato. C’è chi ha visto, durante quelle serate, “le migliori menti critiche della nostra generazione distrutte dal biglietto omaggio, nude, trascinarsi all’alba in cerca di venti righe aggiuntive per cantare meglio il sovraintendente dell’Opera di Roma”. Dicono che Fuortes abbia raggiunto un accordo con il governo e che la sera del 24 aprile, dopo l’approvazione del Bilancio Rai, si dimetterà. Andrà a Milano ad affiancare il sovraintendente Meyer, da subito. Il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, ha studiato lo statuto e lo statuto lo permette. Fuortes ce l’ha fatta, ma cosa importa ormai? Conoscere il suo futuro è perfino irrilevante rispetto a ciò che rappresenta. Fuortes è infatti la vera sciagurata bellezza e il dolcissimo spavento di Roma. E’ la prova di come un paese intero possa essere scalato con un teatro, un papillon, un’orata con le patate e un biglietto da visita. Si è già stagliato come grande italiano perché non scommette sull’avvenire, non se ne cura. In siciliano sarebbe il “come finisci si cunta”. Ha puntato tutto sull’incoscienza, sulle amicizie e ha trionfato. Vive ogni giorno della sua vita come fosse la sua prima e pure l’ultima recita. Come nella Turandot “il suo bacio scioglierà e il nuovo incarico sarà suo”.

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio