Foto Ansa

il commento

La pericolosa solitudine di Giorgia Meloni

Salvatore Merlo

All’estero svetta, ma gli alleati di Forza Italia e Lega la tirano giù. E anche Fratelli d'Italia non dà sempre l’impressione di saper trottare alla stessa velocità della sua leader

Viaggia a una velocità diversa da quella della sua maggioranza, e persino da quella del suo partito. E martedì, in Ucraina, con parole nette, schierando l’Italia al fianco degli Stati Uniti, dell’Inghilterra e della Polonia, la prima linea a difesa della democrazia occidentale, Giorgia Meloni ha pure infranto l’eternità di foresta di quelle doppiezza italiana che in politica estera è sempre stata, per tradizione democristiana e comunista, la pretesa di avere vantaggi sia dalla moglie ubriaca sia dalla botte piena. Americani, sì, ma anche un po’ palestinesi. Con la Costituzione, certo, ma anche con lo zio Stalin: “Putin ha invaso l’Ucraina? Sì, ma pure Zelensky...”. E così mentre la  presidente del Consiglio si mostra  al tavolo del  grande gioco atlantico, mentre conferma un’abilità tutt’altro che scontata nel campo complesso  della politica estera, ecco che si realizza uno strano paradosso: nello stesso momento in cui lei dà un ruolo chiaro  al suo paese e a se stessa, il dibattito pubblico italiano s’attorciglia su un dettaglio surreale e strapaesano:  Zelensky martedì ha offeso Berlusconi? Certamente Joe Biden non ci dormirà la notte.

Martedì, in Ucraina, Giorgia Meloni ha lasciato intendere al mondo e agli Stati Uniti che nessuna argomentazione, composta o esagitata che sia, provenga questa da Silvio Berlusconi, da Matteo Salvini o da chiunque altro, sposta di un solo millimetro la sua certezza iniziale: in questa guerra c’è un aggressore e c’è un aggredito. L’aggressore ha in dotazione uno dei maggiori arsenali di armi del pianeta, l’aggredito difende la sua integrità territoriale. L’aggressore non può accampare nessuna giustificazione o scusante, l’aggredito ha diritto alla più totale solidarietà da parte della comunità internazionale e da parte dell’Italia. E l’avrà. Assieme alle armi e a un piano di ricostruzione, “perché non ci volteremo dall’altra parte” e “combatteremo per voi e per la vostra libertà”. Nell’affresco che Ambrogio Lorenzetti dipinse a Siena dal 1337 al 1340, d’altra parte, la Forza siede tra la Pace e la Prudenza. Alla destra del Buongoverno. 

Eppure, nello stesso istante in cui Meloni si presentava all’estero come garante e capofila dell’atlantismo in Italia, mentre scacciava il fantasma antico della doppiezza e dell’ambiguità che sono la tara del nostro paese, proprio quando a Kyiv pronunciava parole inequivocabili, a Roma si accendeva uno strano dibattito che nel riverbero giornalistico, su alcuni quotidiani almeno, ieri suonava all’incirca in questi termini: la risposta di Zelensky a Berlusconi, quella nella quale il presidente ucraino  diceva che il Cavaliere evidentemente non ha mai avuto la sua casa bombardata, è stato uno “schiaffo” a Meloni. Una figuraccia. Quando al contrario sarebbe logico ritenere che la sottolineatura di Zelensky, a proposito della russofilia di Berlusconi, in realtà rafforzi ulteriormente anche all’estero l’idea che Meloni sia l’unico punto di riferimento degli alleati nonché l’unico interlocutore della comunità internazionale, se non addirittura in Italia certamente all’interno del governo e del centrodestra.  

Argomento, questo, che semmai si presta ad altro genere di considerazioni in chiaroscuro: la solitudine di Meloni. Solitudine all’interno della sua  maggioranza e talvolta persino all’interno del suo partito, che la segue, sì, ma  non è precisamente il mercato generale delle idee. Per così dire. La presidente del Consiglio è politicamente forte, unta dal consenso elettorale,  capace di far marciare l’intera coalizione al suo proprio ritmo. E con i sondaggi  in crescita, con le elezioni amministrative stravinte, sembra anche smentire l’idea diffusa, o forse il luogo comune, che gli italiani siano una massa di pusillanimi pronti a mollare l’Ucraina al suo orribile destino. Anche nella  tenace difesa di Davide contro Golia, Meloni sembra infatti  la persona più in sintonia con gli italiani. Che la votano. Tuttavia resta il fatto che sia sola. La Lega le rimprovera la “retorica bellicista”, Berlusconi manda segnali a Mosca, e persino parte del gruppo dirigente di FdI, compreso Palazzo Chigi, nel suo complesso, pur portando nel patrimonio genetico l’imperativo della disciplina, non dà sempre l’impressione di saper trottare alla stessa velocità della  leader. Che intanto viaggia, parla, svolta, costruisce relazioni e fa politica come un fornaio sforna gli sfilatini. Al punto che talvolta, per questo,  appare vittima di quella fatica fisica che avrebbe colpito persino Napoleone se non fosse stato circondato da un’intendenza adeguata. In pochi avrebbero scommesso che questa leader di destra nazionale sarebbe riuscita nel campo più difficile, quello della politica estera, dove tutti la osservavano con preoccupazione carica di pregiudizio. Ora il pregiudizio all’estero è evaporato, resta il problema interno: nella coalizione e nella squadra. Da soli prima o poi s’inciampa.
 

Di più su questi argomenti:
  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.