Meloni è in cerca della sua personalissima Via della Seta

Giulia Pompili

Il nuovo ambasciatore cinese a Roma Jia Guide fa fatica ad accreditarsi in Campidoglio ma non molta a Palazzo Chigi. Il governo più anticinese che ci sia si è fatto colomba

Alla festa di chiusura delle celebrazioni per l’anno lunare, domenica scorsa in Piazza Vittorio a Roma, il nuovo ambasciatore della Repubblica popolare cinese, Jia Guide, era seduto accanto a una raggiante Silvia Scozzese, vicesindaca con delega al Bilancio, con tanto di sciarpa rossa tradizionale del Capodanno lunare. E però qualcuno ha notato l’assenza del sindaco, Roberto Gualtieri. Perché l’anno scorso Gualtieri aveva mandato un videomessaggio alla comunità cinese romana dell’Esquilino – come il sindaco di Milano, Beppe Sala, ha fatto alla festa di via Paolo Sarpi di fine gennaio – e alle elezioni del 2021 aveva perfino candidato al consiglio comunale l’imprenditrice Lin Yifan, cittadina cinese naturalizzata italiana, per cercare di coinvolgere alle elezioni la comunità cinese romana.

 

Ma la campagna elettorale per le regionali lo tiene impegnato, fanno sapere dal Campidoglio, poi lo stadio della Roma, insomma non c’è nulla di politico nell’assenza del primo cittadino alle celebrazioni promosse dall’ambasciata della Repubblica popolare. Eppure il nuovo diplomatico cinese, Jia Guide, è arrivato a Roma un mese fa e sembra che da allora, nonostante le richieste da parte dei funzionari rappresentanti di Pechino, non sia stato ancora ricevuto al Campidoglio. Al contrario, sin dal suo arrivo, ha fatto un tour della Toscana, sede di una delle maggiori comunità di immigrati cinesi in Italia: ha visitato il consolato di Firenze, ha incontrato il presidente della regione Eugenio Giani, il sindaco di Siena Luigi De Mossi.

   

Jia Guide è un diplomatico navigato: fino al 2019 ambasciatore in Perù (che durante il suo incarico aderisce alla Via della Seta) e poi funzionario al ministero degli Esteri. Appena arrivato in Italia ha ricominciato a usare Twitter, con uno stile piuttosto definito: niente accuse nei confronti dell’occidente, niente “wolf warrior diplomacy”, la diplomazia aggressiva di certi funzionari di Pechino. Jia, al contrario, è uno dei rappresentanti di quel nuovo corso diplomatico cinese che tenta di mostrarsi capace di dialogare, e che ha estremo bisogno di dialogare, specialmente con i partner dell’Unione europea. E così eccolo  pubblicare molte foto con rappresentanti istituzionali italiani che sono soprattutto un messaggio di non isolamento. Foto alla festa della Fao (a guida cinese) con la sottosegretaria agli Esteri, la  forzista Maria Tripodi, proprio una manciata di  ore prima che Biden decidesse di abbattere il pallone aerostatico-spia cinese che era entrato nello spazio aereo americano, foto mentre mangia il lampredotto a Firenze, e poi foto durante un incontro con Luigi Vignali, direttore generale per i servizi consolari della Farnesina. Non un caso, forse, che sia stato proprio con Vignali il suo primo bilaterale in Italia, dopo le indagini aperte dal ministero dell’Interno sui “servizi consolari” offerti dalle “stazioni di polizia” cinesi a Prato e in altre città italiane. 

  

 L'ambasciatore Jia Guide con la vicesindaca di Roma Silvia Scozzese lo scorso 5 febbraio (via Twitter)

    

Ma se il Partito democratico sta cercando una nuova cifra nelle sue relazioni con la Repubblica popolare cinese, quelle che Pechino si aspettava in Italia, con il nuovo governo Meloni, erano preoccupazioni malriposte. 


Meloni è arrivata a Palazzo Chigi con le idee molto chiare su Pechino, e una campagna elettorale con segnali evidenti pro Taiwan e pro Tibet. Poi, dopo il giuramento, qualcosa è cambiato. E c’entra poco l’incontro notturno con il leader Xi Jinping a Bali, durante il G20 di novembre, piuttosto la volontà politica di mantenere buoni i rapporti con la Cina, nonostante le tenere minacce di “uscire” dalla Via della Seta firmata dal governo Conte nel 2019 (e ci si dovrà intendere, prima o poi, sul tecnicismo dell’uscire da un memorandum d’intesa: con una dichiarazione scritta? una dichiarazione pubblica? non è ancora chiaro). Secondo un’indiscrezione non confermata pubblicata ieri da Intelligence online, la presidente del Consiglio Meloni starebbe valutando la possibilità di viaggiare in Cina durante il Terzo Forum sulla Via della Seta, in primavera. Dopo l’annullamento della visita a Pechino del segretario di stato americano Antony Blinken, però, un eventuale viaggio di un leader europeo al forum celebrativo dell’influenza cinese all’estero non è così scontata – e trova anche la concorrenza diretta di Emmanuel Macron, con la Francia sempre più attiva nell’Indo-Pacifico. E’ anche per cercare di ricucire il rapporto tra Roma e Pechino che sarebbe stato richiamato a Palazzo Chigi anche Luca Ferrari, fino a poche settimane fa ambasciatore italiano nella Repubblica popolare cinese. Ufficialmente, Ferrari affianca il consigliere diplomatico di Meloni, l’ambasciatore Francesco Talò, per le questioni che riguardano il G7 e il G20, ma avrebbe anche la responsabilità di stabilire confini e opportunità nel rapporto con la Cina.  Per ora, Meloni – come gran parte del suo esecutivo –  evita con cura qualunque commento pubblico sui rapporti Italia-Cina e sulle attività assertive della Cina nel mondo.

  

 L'ambasciatore Jia Guide con la sottosegretaria agli Esteri Maria Tripodi il 3 febbraio scorso, il giorno prima dell'abbattimento del pallone-spia cinese in America 

 

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.