Schlein, o la banalità di un programma per la guida del Pd

Claudio Cerasa

La mozione con cui la ex vice di Bonaccini si candida alla segreteria è un susseguirsi di luoghi comuni (“abolire il patriarcato!”). Ma un dettaglio svela che almeno ha capito che il Pd, per tornare a vincere, deve essere il perno di una larga coalizione che va dalla sinistra al centro

“Senza la base, scordatevi le altezze”. In un atto di puro masochismo, abbiamo scelto di metterci di buzzo buono e di leggere con attenzione le mozioni congressuali dei due più importanti pretendenti alla segreteria del Pd: Elly Schlein e Stefano Bonaccini. Abbiamo iniziato, per farci del male, dalla mozione della prima, dalla ex vice di Bonaccini. Con grande curiosità ci siamo addentrati nella lettura del testo (105 mila battute, il programma elettorale di Fratelli d’Italia era di 74 mila battute) e ci siamo ritrovati di fronte a un documento politico di una caratura tale da far rimpiangere la mozione di Laura Puppato (anno 2012). A una prima lettura, la mozione di Elly Schlein, con tutto il rispetto dovuto a una donna che coraggiosamente ha scelto di candidarsi alla guida di uno dei partiti più importanti d’Europa, appare una seria risposta a un’esigenza mostrata anni fa da Alessandro Di Battista in un suo famoso saggio a lungo trattato su questo giornale, e se il mitico Dibba avesse saputo che prima o poi l’Italia avrebbe avuto a che fare con la dottrina Schlein avrebbe probabilmente desistito dal viaggiare in autostop per l’America Latina “tra la gente come una persona qualunque, alla ricerca di spremute di umanità”.

   

La spremuta di umanità della mozione Schlein, con tutto il rispetto per una mozione la cui concretezza ricorda gli aforismi di Nichi Vendola, è un susseguirsi istruttivo di luoghi comuni che rispecchiano con esattezza non “una certa idea di paese”, come direbbe Ezio Mauro, ma una certa idea di come la sinistra che non vuole più parlare alla vecchia sinistra si immagina che debba essere la nuova sinistra che dovrebbe rappresentare. La premessa di Schlein è ottima: “Occorre tenere insieme questa comunità, salvaguardare il suo pluralismo, ma senza più rinunciare a un profilo e a un’identità chiara, coerente, comprensibile alle persone”. Ma il tentativo di offrire, per l’appunto, una identità “chiara, coerente e comprensibile alle persone” appare in contraddizione con i contenuti della stessa mozione. “Ci serve una riflessione profonda”. “Il nostro obiettivo è far partire un percorso collettivo, plurale, che porti un contributo alla costruzione di un nuovo Partito democratico”. “Di fronte a questa destra, il cambiamento deve partire da noi. Un noi che significa che le grandi trasformazioni non muovono mai sulle spalle delle traiettorie individuali, ma delle mobilitazioni collettive”.

 

Per farlo, per dare concretezza al percorso collettivo, plurale, denso di trasformazioni che si muovono sulle spalle di mobilitazioni collettive, Schlein propone di scrivere una serie di nuovi contratti sociali (che è l’espressione moderna, gggiovane, che sostituisce la vecchia idea di “aprire i cantieri”, “lavorare a una costituente”) su molti temi (sanità, scuola, fisco). E lo fa miscelando idee vaghe. (“La destra pensa di affrontare la crisi della democrazia con la scorciatoia del presidenzialismo: è un disegno che dobbiamo contrastare e a cui dobbiamo contrapporre una proposta di riforma per migliorare la qualità e l’efficacia delle istituzioni”: se vi state chiedendo se c’è una proposta di riforma alternativa la risposta ovviamente è no). Sostenendo che il contesto politico in cui ha vinto la destra dimostra che “la crisi della nostra democrazia non è mai stata così grave” (se avesse vinto la sinistra la democrazia sarebbe stata così in difficoltà?).

   

Considerando poi, ma potremmo andare avanti per ore, fondamentale per il futuro della sinistra la legalizzazione della cannabis, l’introduzione di una tassa sulla plastica, l’introduzione di una vera carbon tax, l’introduzione di una nuova tassa sulle donazioni e sulle successioni, l’introduzione di un’ulteriore tassazione europea sulle multinazionali, l’introduzione nello Statuto del Partito della “cosegreteria con alternanza di genere” (Schlein ha deciso di farsi chiamare candidata “segretaria”, ignorando che persino la femminista Susanna Camusso, che aveva un senso del limite, quando divenne numero uno della Cgil continuò a farsi chiamare “segretario generale”) e, rullo dei tamburi, “il superamento del patriarcato”, che “passa da una grande battaglia culturale che attraversi la società, sui temi della parità di genere e del rispetto delle donne” (al tema del superamento del patriarcato, nella mozione di Schlein, è dedicato uno spazio superiore ai temi del contrasto alla criminalità organizzata).

  

Naturalmente, la mozione di Schlein presenta anche alcuni passaggi interessanti (che al momento non ci vengono però in mente) e offre una visione del mondo sul fronte dell’ecologia che merita di non essere trattata superficialmente (Schlein parla di “conversione” ecologica, non di transizione, e considera dunque la transizione troppo lenta per essere compatibile con le esigenze della modernità, ma nella sua splendida esaltazione delle rinnovabili, e chi non ama le rinnovabili, dimentica di dire che la ragione per cui le rinnovabili non procedono velocemente come dovrebbero dipende anche dal modo in cui le sovrintendenze in Italia gestiscono la partita dei nuovi impianti, ma d’altronde un tributo a Franceschini Schlein doveva pur pagarlo).

 

Ma al fondo, ironie a parte, c’è un dettaglio del programma che svela che la candidata segretaria ha capito quello che molti suoi follower non hanno capito fino in fondo: “Dopo il risultato del 25 settembre, sarebbe irresponsabile che non si trovasse un terreno di battaglie comuni da fare insieme alle altre forze di opposizione”. Il programma di Schlein, la cui frase più importante e significativa si trova a metà della mozione, quando, dopo aver lanciato la sua invettiva contro il patriarcato, Schlein dice in un soffio: “Senza la base, scordatevi le altezze”, è un programma vago, vuoto, banale, in cui i diritti sociali e i diritti civili vengono prima della libertà economica e in cui dunque si ignora che quei diritti di solito viaggiano di pari passo con la libertà che ha un paese di crescere, di prosperare, di offrire benessere, di essere connesso ai motori della globalizzazione. Ma è un programma che, sorprendentemente, dice quello che molti follower di Schlein ancora non hanno capito: per poter vincere le elezioni il Pd deve essere il perno di una coalizione larga, larghissima, che va dalla sinistra al centro. Non è tanto, ma non è poco. In bocca al lupo.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.