Foto di Roberto Monaldo, via LaPresse 

Girotondo a Venezia

“Ecco l'autonomia che vogliamo”. Parlano Calderoli, De Luca e Zaia

Francesco Gottardi

Dall’evento di Confindustria emerge ottimismo e unità d’intenti. “Il nemico del sud è nel sud”, dice il presidente della Campania. “Il federalismo è previsto dalla Costituzione”, aggiunge quello del Veneto. E il ministro: “Martedì testo in preconsiglio, entro un anno riforma avviata”

A guardare l’allegra tavola rotonda, non si capisce perché l’Italia stia ancora aspettando l’autonomia differenziata. È d’accordo l’esecutivo di centrodestra, nel profilo di Roberto Calderoli. Figurarsi il nord, rappresentato da Luca Zaia. Ma pure il meridione e il centrosinistra, garantisce Vincenzo De Luca. Appena il numero uno della Campania dice che “il problema del sud è il sud”, più convinzione che captatio, si prende l’ovazione dell’imprenditoria padana. Il governatore del Veneto rilancia: “Questo governo in cento giorni ha fatto più dei cinque precedenti. Non siamo mai stati così vicini all’obiettivo”. Il ministro per gli Affari regionali va in all-in: “Martedì prossimo verrà aggiornato e finirà in preconsiglio il testo che presentai il 29 dicembre scorso. La settimana successiva verrà approvata la proposta di legge preliminare. Seguiranno la conferenza unificata, l’approvazione del Consiglio dei ministri in via definitiva e quindi l’esame in Parlamento. Entro un anno abbiamo tutto. Cabina di regia compresa”. 

 

Sarà l’aria di Venezia, a portare tanto ottimismo. Sarà quella di Confindustria, organizzatrice del convegno sul futuro dell’Unione europea e delle regioni presso le Procuratie vecchie di Piazza San Marco. Forse ha ragione il presidente Carlo Bonomi: “Questi ventidue anni senza riforme vanno presi come un lungo periodo di osservazione”. E non tempo perso. Ma la stagione adesso è matura, confindustriali e politica all’unisono: “Per scelta o necessità”, l’autonomia s’ha da fare. Ciò che impantana, come sempre, è il come. E qua c’è perfino da ridere. “Una delle criticità principali”, dice Calderoli, “è individuare con chiarezza quali sono e quali non sono i Lep”, i livelli essenziali di prestazione da garantire su tutto il territorio nazionale. “Per questo, a supporto della cabina di regia, verrà istituito un comitato tecnico scientifico di massimo livello: esperti di diritto istituzionale e amministrativo, rappresentanti dello stato, dei settori economici”. Risponde De Luca. “E dove la riuniamo tutta ‘sta roba? Al San Paolo, in curva sud?”

 

Il ministro sta al gioco. “Nonostante le distanze politiche, Vincenzo è di una simpatia incredibile”. Ed è nel suo habitat, non c’è che dire. Del Totò a Milano ha soltanto il cappottone e la parlata. Il resto è savoir-faire. “Scusate se mi sono interrotto: ero affascinato da Calderoli, qua a fianco a me. Dall’altra parte”, e questa sì, più captatio che convinzione, “invece c’ho Zaia: un dongiovanni”. A De Luca piace essere preso sottogamba. Per poi colpire: “Dobbiamo decidere se crediamo o no nell’unità di questo paese. Se essere l’Italia o un’altra cosa: il ragionamento sull’autonomia è un problema storico e ideale che tocca i nostri valori più profondi. E non può che partire dalla sfida dell’efficienza. Chi non è pronto ad accettarla vada al diavolo”. Altro tripudio. “A condannare il meridione è stato chi ha amministrato bilanci pubblici in maniera frettolosa, fino a buttarla in demagogia o vittimismo. Quindi se questa autonomia sarà un’operazione verità-serietà-rigore, contro la cialtroneria di alcune nostre realtà, allora consideratemi in prima linea”.

 

Con le dovute precisazioni. “La differenza fra l’Italia e la Germania è soprattutto nella classe dirigente degli ultimi trent’anni: da una parte imballata, dall’altra valida e coraggiosa al punto da realizzare un’unificazione straordinaria. Dove l’ovest resta fonte di sviluppo, ma il paese è diventato potenza soltanto per aver coinvolto anche l’est. Dunque il tema del sud riguarda l’Italia intera”, De Luca sfodera il repertorio Crozza. “La nostra spesa pubblica nazionale è di 18mila euro pro capite, che al sud calano a 13. Per ottenere lo stesso trasferimento, la Campania dovrebbe ricevere ogni anno 30 miliardi di euro in più. Senza contare i 200 milioni di cui la nostra regione viene derubata sistematicamente. Quindi, parlando di autonomia: o riduciamo i trasferimenti di spesa pubblica al nord, a cui non toglierei neanche un euro, o utilizziamo i fondi aggiuntivi del Pnrr per riequilibrare il territorio, le infrastrutture, il divario di genere. Lo sapete che da cinque mesi parte di questi fondi è disponibile ma il riparto non viene fatto? È una vergogna, uno scandalo”.

 

A Zaia scappa un sorrisetto. “Oggi si discute tanto del futuro di queste riforme”, il doge salta gli onori di casa. “Ma la verità è che furono previste dai padri costituenti sin dal ’48. La nostra carta è federalista quanto quella tedesca. Anche noi abbiamo bisogno dell’efficienza centripeta, anziché di un centralismo centrifugo. Eppure l’Italia finora ha scelto il secondo: se l’autonomia mina l’unità nazionale, allora significa che non percepiamo più la Germania o gli Stati Uniti come grandi nazioni. Se siamo davanti a un paese a due velocità è colpa del modello che ha fallito. E non può continuare a farlo: nord e sud sono gemelli siamesi, la vita e la morte dell’uno valgono anche per l’altro. C’è perfino chi dice che con l’autonomia consegniamo il meridione all’Africa: me vien da rider”. Alla fine però, più dello slancio ideologico, contano i schei. “Se il sud continua a fare buchi dobbiamo pagare noi”, ragionateci sopra. Ma industriali da convincere non ce ne sono. Non in Veneto. “Il referendum del 2017 è figlio dei cittadini e della Corte costituzionale che lo consentì. La presiedeva Mattarella, la relatrice della sentenza era Cartabia: questa riforma non ha colori politici. È una vera assunzione di responsabilità e ci arriveremo nel rispetto di tutti. Quindi vediamo di sceglierla, anziché subirla. O portare i libri in tribunale”.

 

Il chiacchiericcio finale è attorno ai Lep, sui cui persistono diversità di vedute. Ci pensa De Luca. “Nell’attesa, possiamo occuparci da subito delle operazioni di burocrazia zero? Ci sono decine di pareri e permessi che paralizzano l’attività imprenditoriale. Trasferiamo tutto alle regioni. E le soprintendenze: Dio le abbia in gloria!” Sono organi del ministero della Cultura: quello per gli Affari regionali, il Veneto e la Campania possono stringersi la mano tranquilli. È anche nel dissenso verso terzi, che l’Italia s’è fatta paese.