Ansa

Un partito introverso

Caro Pd, non si torna a vincere parlando solo di diritti e alleanze

Giuliano Ferrara

Le forze politiche non vivono di sola identità, di programmi, di apparati e classi dirigenti. Vivono prima di tutto di iniziativa, di questioni capaci di eccitare curiosità e addirittura passione. È questa la tremenda mancanza dei dem. Eppure, da Veltroni al M5s, fino a Renzi e Macron, gli esempi di successo non mancano

Una tremenda mancanza di iniziativa affligge il Partito democratico, e sembra che nessuno se ne accorga. I partiti non vivono di sola identità, laburismo, neoliberismo, europeismo, di soli programmi, di apparati e classi dirigenti, di riflessione sul loro passato, di ferite da leccarsi, di riunioni e statuti e elezioni di organi. Vivono prima di tutto di iniziativa. Occorre proporre un tema di generale interesse, meglio ancora più questioni capaci di eccitare curiosità e addirittura passione, indicare i mezzi per affermare una soluzione, uno spazio di coinvolgimento degli altri, opposizione e governo, minoranza e maggioranza.

Le risorse, le tasse e la spesa pubblica, le nascite, le istituzioni, la politica estera e di difesa e di sicurezza, l’immigrazione, vada anche per il riscaldamento climatico, l’industria, il lavoro, non è che non ci sia materia per l’iniziativa. C’è, ma un partito introverso non trova il modo di alimentare campagne, inventare idee nuove, rispolverare vecchie formule collaudate, orientare consenso e dissenso, muovere le acque, che è poi il senso dell’iniziativa politica. Parlare solo di diritti e alleanze, dividersi su immagini e persone che dovrebbero incarnarle, diluire la stagione delle decisioni di potere interno, mimare la democrazia elettorale e riprodurla su scala minore, queste non sono soluzioni per tenere la barra del timone, per affrontare una burrasca, per contendere il consenso e lo spazio politico a altri soggetti.

 

Uno può dire dei no e dei sì, poi deve agire perché siano gli altri a dover negare o affermare, deve sollecitare compromessi, cercare di dividere gli avversari, emulare i rivali, sono tecniche perfino ovvie della politica di tutti i tempi, ma sembra che il Pd le abbia disimparate, le abbia messe in cantina in attesa di tempi migliori, che non verranno, se continua così. Renzi lasciò sfiorire il patto del Nazareno con Berlusconi, sul quale si fondavano il suo potere di coalizione e la sua forza trasversale, lo fece con l’elezione (peraltro benedetta) di Sergio Mattarella, e questo errore difficile da discernere fu cagione dell’ultima ruina sua. Ma era un vulcano in eruzione permanente, quanto allo spirito di iniziativa, fino all’esagerazione. Gli 80 euro, il cambiamento della Costituzione e del bicameralismo eguale, l’app cultura, gli incentivi all’industria per l’innovazione, la scuola, la legge sul mercato del lavoro, non passava giorno senza che si rafforzasse la sua posizione di centralità nell’iniziativa politica. Poi può andare male, ma esisti e lasci un segno e ti può capitare di arrivare, come minaccia ora di fare Meloni, al 40 per cento dei voti. Anche la segreteria Veltroni fu immersa nella dinamica dell’iniziativa, e arrivò al 34 per cento. Lo schianto finale non è mai escluso, ma si schianta qualcosa, non il nulla, non il vuoto. 

Macron ha vinto la presidenza e perso la maggioranza ma non rinuncia a scuotere il sistema e a confermarsi l’ossimoro che è, un presidente riformista e liberale in un paese conservatore e centralista-statalista, vuole manovrare per la riforma delle pensioni invisa a mezza Francia, e forse oltre, e cerca una maggioranza all’Assemblea. Forse sarà travolto, ma qualcosa lascerà in eredità alla congiuntura destinata a sostituirlo.

Non sta lì a discutere in astratto soltanto di formalismo liberale o neoliberista, di diritti e di altre vaghezze, fa politica, non passerella triste della sconfitta, come per anni dopo Hollande hanno fatto fino allo sfinimento e allo svuotamento i socialisti francesi (e i gollisti dopo Sarkozy). Meloni, nel suo piccolo e nel suo avventuroso, con la gavetta di partito che la sostiene, cerca di tenere l’iniziativa. Sarà anche più facile, in teoria, perché le elezioni le ha vinte, nel confronto con gli avversari e con gli alleati, ma senza iniziativa le si presenterebbe un terreno paludoso, divisivo, un ritmo lento e non appetibile anche per l’esercito che si è radunato e per i gruppi che sono saliti sul suo carro.

I grillini sono esistiti e ancora adesso i resti di quell’armata Brancaleone prendono un significato solo per via dell’iniziativa. Incessante con il Reddito di cittadinanza, con la diminuzione del numero dei parlamentari, con il Superbonus, con i lockdown, con la svolta europeista fino ai quattrini del Pnrr, poi meno vistosa, ma insomma, anche lo sfilarsi da Draghi e il rullo del tamburello mélenchoniano, all’ultima curva, hanno dato qualche risultato. Quando il Pd la pianterà di domandarsi che cosa è, e comincerà a agire per quel che può, con spirito di iniziativa, ecco, allora quello che sarebbe ancora il secondo partito italiano e il più forte dell’opposizione potrà sperare di non essere destinato all’ombra lunga di una sconfitta permanente e avvilente, come i colleghi o compagni francesi.

 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.