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Le falle logiche di Meloni contro il Mes “creditore privilegiato”

Luciano Capone

L'ultima critica della premier al Fondo salva stati riguarda il suo preferred creditor status. Ma è un "privilegio" comune a tutte le istituzioni internazionali (Fmi, World Bank, Bei) e che è nell'interesse nazionale dell'Italia, terzo azionista del Mes

Quando parla del Mes, non si capisce se la presidente del Consiglio sia male informata oppure dica deliberatamente cose false e contraddittorie. Nessuno dei due casi è confortante e, in fondo, non è neppure necessario capire se ci è o ci fa, dato che le conseguenze in termini di credibilità sono le stesse.

 

Giorgia Meloni si trova in una posizione complicata. Fino a pochi mesi fa, da leader dell’opposizione, denunciava in Parlamento il Fondo salva stati come “un cappio al collo” per l’Italia, e faceva una solenne promessa: “Sull’approvazione della riforma del Mes la nostra opposizione sarà totale”. Mentre ora, da capo del governo dell’unico paese che ancora non ha ratificato il trattato, si trova costretta a dare la sua approvazione se vuole evitare un isolamento dell’Italia su una questione che non ha creato alcun problema in nessun altro paese dell’Eurozona. E così, stretta tra questi due fuochi, la premier cerca un modo per approvare la riforma del Mes mantenendo un giudizio molto critico. Il problema, come detto, è che lo fa con argomenti falsi o contraddittori.

 

Una delle ragioni ripetute da Meloni, a dimostrazione della sua disfunzionalità, è che “il Mes non è mai stato utilizzato da nessuno”. Più recentemente, ha aggiustato un po’ il tiro dicendo che “dopo la Grecia il Mes non è stato attivato da nessuno”. Si tratta di un’affermazione falsa, dato che i paesi che hanno fatto ricorso al Mes sono cinque (Cipro, Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna), e che in ogni caso non dimostrerebbe nulla: il Meccanismo europeo di stabilità serve a dare assistenza ai paesi in crisi finanziaria e la speranza, in questo senso, è che venga usato il meno possibile. Come ha detto in una recente intervista Kalin Anev Janse, il direttore finanziario del Mes: “È davvero una buona cosa se il Mes non viene usato perché il nostro scopo è garantire che i paesi membri abbiano accesso ai mercati autonomamente”.

 

Ma l’argomento nuovo di opposizione al Fondo salva stati, più volte sollevato di recente da Meloni, riguarda il cosiddetto preferred creditor status: “Il problema del Mes è che si tratta di un creditore privilegiato, cioè il prestito che si contrae con il Mes lo si deve restituire prima del resto e questo porta problemi significativi in termini di spendibilità dei titoli di Stato”. Per questa ragione, ha aggiunto la premier, “finché io conto qualcosa, che l’Italia non accede al Mes lo posso firmare con il sangue”.

 

Partiamo da un presupposto. In genere le istituzioni finanziarie internazionali, come il Fmi o la World Bank, sono creditori privilegiati: vuol dire che hanno una priorità, rispetto ad altri creditori, nel rimborso da parte dei debitori. Il Mes non fa eccezione avendo uno status di creditore privilegiato che è secondo solo al Fmi. La critica di Meloni è che questo status provoca, per chi chiede un prestito, una frammentazione del debito e, di conseguenza, fa aumentare il costo dell’indebitamento attraverso i titoli di Stato perché i creditori pretenderebbero un rendimento superiore per un debito “junior”.

 

Ma ciò che evidentemente Meloni non considera è che, se pure questo effetto esistesse, in presenza di un finanziamento a tassi agevolati del Mes lo stato dovrebbe emettere meno debito ordinario e, di conseguenza, il costo medio sarebbe inferiore. Se così non fosse, semplicemente nessun paese chiederebbe prestiti al Fmi o al Mes perché non converrebbe. D’altronde l’Italia chiede continuamente prestiti alla Bei (solo nel 2022 9 miliardi), anch’essa creditore privilegiato, proprio perché spunta tassi più convenienti. Questo “privilegio” ha un fondamento: siccome il Mes, come il Fmi, è una sorta di prestatore di ultima istanza, ovvero fa credito agli stati quando il mercato non lo fa più o lo fa a tassi proibitivi, in cambio chiede una priorità nel rimborso. Senza questa garanzia, in presenza di rischi molto elevati, i tassi sarebbero più alti oppure i prestiti non ci sarebbero affatto.

 

Non si capisce bene quale sia il problema di questa condizione generalmente accettata (nel caso del Fmi non esiste neppure un obbligo legale), soprattutto perché il preferred creditor status è presente sin dalla prima versione del trattato del Mes, quella firmata l’11 luglio 2011 dal governo Berlusconi (di cui Giorgia Meloni faceva parte) e più precisamente dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti, ora autorevole esponente del partito della premier.

 

Ma soprattutto, la critica è contraddittoria rispetto al giuramento “con il sangue” di Meloni di non accedere al Mes (peraltro in perfetta continuità con tutti i governi italiani). Se è questa la posizione di Meloni, a maggior ragione lo status di creditore privilegiato è nell’interesse nazionale italiano. Siccome l’Italia è il terzo azionista del Mes con quasi il 18 per cento degli 80 miliardi di euro versati e non sarà mai tra i paesi debitori, ha maggiori garanzie che i soldi prestati agli altri paesi verranno restituiti e che il suo capitale verrà preservato. Come, appunto, è sempre accaduto finora.

 

La riforma del Mes, per giunta, non tocca nessuno di questi punti che resteranno inalterati in ogni caso. Cosa aspetta, quindi, Meloni a ratificare il nuovo trattato del Mes?

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali