Non solo il gelo con Macron. Meloni insabbia anche l'accordo con la Germania

Valerio Valentini

Il dossier era stato preparato da Draghi e Scholz: c'era già in calendario la visita decisiva per definire il nuovo tratatto. La premier ha fermato tutto, facendo allarmare Berlino. L'Italia resta sola. I cortocircuiti del complottismo di FdI

C’era già la data fissata in agenda. Il 13 ottobre Mario Draghi sarebbe dovuto andare a Berlino, a incontrare il cancelliere Olaf Scholz. Per ribadire il legame tra i due paesi, e  per rafforzarlo. Doveva essere quella l’occasione per definire un’intesa in vista della firma di un trattato di cooperazione rafforzata tra Italia e Germania, sul modello di quello siglato al Quirinale nel novembre del 2021 tra Draghi stesso ed Emmanuel Macron.

C’è  anche questo strano cono d’ombra, nel lavoro diplomatico di Giorgia Meloni. Non solo il tentativo di sabotare l’accordo storico tra Roma e Parigi, ma pure l’insabbiamento del dossier parallelo imbastito da Palazzo Chigi e dalla cancelleria tedesca. E forse a Berlino pensavano  all’affanno dettato da un passaggio di consegne fatto a ridosso della sessione di Bilancio, lo spauracchio dell’esercizio provvisorio che tutto relega in secondo piano. Ma ad ascoltare le parole di Meloni sul Trattato del Quirinale (“Non l’ho letto, e non so se è operativo”), si sono invece allertati. Così dalla capitale tedesca sono partite telefonate verso la Farnesina: “Ma allora è una scelta politica?”.

Chissà. Certo è che, se negli scalcagnati complottismi patriottici si volesse cercare una coerenza, si direbbe che nulla è più opportuno della firma di un patto privilegiato tra Roma e Berlino. E non solo perché, almeno finora, Meloni e compagni non hanno alcun territorio patrio da rivendicare nei confronti i tedeschi (la Francia invece, secondo FdI, ci ha rubato un pezzo di mare di Sardegna e pure uno spicchio di Monte Bianco). Ma c’è di più. Perché a luglio scorso, mentre in Senato si discuteva la ratifica del Trattato del Quirinale, erano proprio i meloniani a lamentare la mancanza di un accordo analogo che legasse Roma e Berlino, “visto che tra Francia e Germania c’è già il Trattato di Aquisgrana”, disse l’attuale sottosegretario alla Difesa Isabella Rauti. “L’Europa deve camminare su tre gambe – rimarcò il collega Alberto Balboni – e invece questo trattato trasforma la Francia nel garante dell’Italia rispetto alla Germania: le cose che contano le decidono loro e poi la Francia viene a dire a noi quale è la linea”. Insomma, avendo trattati di cooperazione rafforzata sia con l’Italia sia con la Germania, la Francia aveva un vantaggio negoziale: questa era la tesi sovranista. 

E forse, depurata dalle astruserie sovraniste, era una convinzione che anche Draghi e Scholz dovevano nutrire, se è vero che avevano concordato di rafforzare l’intesa tra i rispettivi paesi. Il viaggio dell’ex capo della Bce a Berlino, a metà ottobre, sarebbe  dovuto servire a questo: a siglare un “piano d’azione” che desse formalità ai lavori preparatori già avviati da mesi dai rispettivi uffici diplomatici, nella speranza di firmare un trattato  nella primavera del 2023, prima della fine della legislatura. Era la volontà di Draghi. Ed era una volontà benedetta anche dal Colle, visto che anche Sergio Mattarella e Frank-Walter Steinmeier, presidenti della Repubblica e grandi amici personali, ne avevano iniziato a parlarne già  a partire dal settembre 2020, durante un incontro a Milano. 

Cosa ne sia rimasto, di tutto questo lavoro, è difficile da dire. A Palazzo Chigi per ora prendono tempo: “Abbiamo altre priorità”.
 

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.