Foto di Giosuè Maniaci, Archivio R224, via Ansa 

memoria divisa

Fuor di retorica, ricordare la nascita del Msi non è uno scandalo

Giuliano Ferrara

Fu un partito orrendo, non un movimentaccio populista. Un organismo vivo, isolato, passabilmente corrotto come tutti i partiti italiani. Tenuto insieme dalla discriminazione antifascista

Isabella Rauti ha sostato un momento in ricordo del Movimento sociale italiano, ed è stato subito un mezzo scandalo. Farlocco. Abortito. Abbiamo una presidente del Consiglio del 1977, che ha fatto a tempo a contaminarsi per via del Fronte della Gioventù, insomma, proviene da quelle file. Ha poi spezzato la continuità e riformulato (quasi) tutto. E ha conquistato un forte consenso con una ideologia di destra, passatista perché conservatrice, e legittimamente conservatrice, combinata alla tigna dell’opposizione e a una politica via via più istituzionale, normalizzata rispetto alla memoria divisa che le stava attaccata alla schiena, a lei e alla sua creatura e a parte notevole del personale politico che l’accompagnava. Ora è tutta una gara a dimenticare, in nome della memoria condivisa, ma personalmente ho sempre trovato più interessante la memoria divisa.

 

Violante presidente della Camera non fu il primo a esprimere pietà storica per i vinti, anche allora scandalosamente e con l’appoggio di questo fogliuzzo. Prima di lui erano venuti Pannella e Craxi, ciascuno a suo modo, ciascuno con le sue belle strumentalità politiche e ideologiche ma con molte ragioni storiche. E ancora prima c’erano state grandi contrapposizioni tra il Msi e tutti gli altri, ma sempre ispirate a diversi contesti, argomenti, a diverse pulsioni e sentimenti.

 

L’Italia di cultura azionista, dal Partito d’Azione, manipolo coraggioso di combattenti antifascisti che non conosceva il paese in cui viveva, non lo apprezzava (con qualche ragione) e non ne era apprezzato (con qualche ragione) fu sempre contro i missini con un intento e una prospettiva tremendamente moralistica, moralismo storico, memoria condivisa e basta, cancel culture delle origini. Questo condusse a equivoci come la campagna di Bianchi D’Espinosa per la messa fuorilegge del Msi, sostenuta da Lotta continua e dall’antifascismo cosiddetto militante, fino alla degenerazione violenta e assassina, che collegava (con qualche ragione, con alcuni torti) quel partito a un’epoca segnata dalla cosiddetta (ma anche non cosiddetta) strategia della tensione.

 

I fascisti o neofascisti erano diventati i fasci, e li si poteva e doveva battere come un tamburo, pronti loro a rendere la pariglia e in molti casi essendo loro i primi a suonarle agli avversari. Dialettica, diciamo così, povera, tra culture, diciamo così, povere, come sempre per i moralismi e i reducismi di ogni tipo, che non c’entrano con il 25 aprile e la Liberazione.

 

Prima di Pannella, azionista eretico, e Craxi, socialista antifascista e anticomunista e a suo modo nemico del regime democristiano, a mettere il Msi nel sacco della storia italiana, dal quale non è più uscito fino alla svolta di Fiuggi e all’abbandono della “casa del padre”, unico atto comprensibile e serio compiuto da Gianfranco Fini nella sua non eccelsa carriera politica, e un atto di quelli che solo la disinvoltura e la sprezzatura di un Berlusconi poteva perorare e spingere a accadere, prima di loro erano stati i comunisti e i democristiani, i più forti tra i vincitori, a fare la loro parte. 

 

Il Msi fu fondato da una classe politica di reduci prima del varo della Costituzione, alcuni di loro erano persone compromesse gravemente con il regime fascista e con i suoi delitti, ché la violenza dei vinti è sempre delitto, e alcuni di loro coltivatori diretti di una fedeltà e lealtà a storia e simboli che non è il timbro, se così si può dire, della coscienza nazionale italiana, irresponsabilmente e longanesianamente votata alla memoria condivisa intesa come oblio dei propri comportamenti compromettenti, cancel culture nel senso di Pierluigi Battista del cancellare le tracce (il peggiore, Norberto Bobbio, ma parce sepulto e pazienza se tra tante qualità non aveva un cuor di leone).

 

Con il governo Milazzo in Sicilia, anni Cinquanta, i comunisti, per fottere i democristiani sorretti dai poteri collusi e mostrare tutto il loro machiavellismo, con l’assenso di Togliatti e sotto la guida di Macaluso e Bufalini, entrarono in un governo regionale assieme ai missini ancora molto lontani dallo sdoganamento. Segni Sr. fu eletto anche con i loro voti. Leone fu eletto capo dello stato con i loro voti determinanti. Tra botte, drammi, tragedie, farse e ruffianerie incrociate il Movimento sociale, alterne vicende elettorali, rivolte di massa come a Reggio Calabria, educazione alla politica nera di tanti giovani, deviazioni di altri nel terrorismo, alimentazione di una componente di sinistra e sociale, tentativo di preservare una cultura di destra non troppo polverosa, e chi più ne ha più ne metta, fu un organismo vivo, isolato, passabilmente corrotto come tutti i partiti italiani, e fu un organismo tenuto insieme dalla discriminazione antifascista che stette a fondamento dell’arco costituzionale, base della democrazia consociativa, che ha reso l’Italia un paese progredito e opulento ma lo stava alla fine paralizzando nella gnagnera, contro la quale si batterono Pannella e Craxi.

 

Una visione non moralistica e non retorica delle cose deve riconoscere che è legittimo, che non crea imbarazzo alcuno, ricordare il Msi, un partito forse orrendo ma non un movimentaccio populista; un partito perfino, come si dice, inquietante in molte fasi della sua storia lunga e non sempre eroica, tutt’altro, ma un partito che era nato dai morti, dell’una e dell’altra parte, ma non era nato morto.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.