Foto di Riccardo Antimiani, via Ansa 

Finanziaria rituale

L'eterno ritorno della legge di Bilancio

Salvatore Merlo

“Oddio rieccoli” è il grido con cui accogliere il Parlamento in questo periodo dell’anno, quando la maggioranza dà risposte che l'opposizione già conosce. Poi il voto di fiducia e tutto finisce alla vigilia di Natale. Per ricominciare da capo

Persino i telebanditori di detersivi e deodoranti sanno che la continua ripetizione di un’immagine ingenera noia, disgusto, e infine una vera intolleranza fisica. ”Oddio rieccoli”, è infatti il generale grugnito con cui vengono accolti i politici quando si entra in periodo di Finanziaria. Così noi abbiamo fatto qui del nostro meglio per rappresentare realisticamente in che cosa consista questo particolarissimo periodo dell’anno che precede il Natale. Insomma per tentare di definire cosa siano queste giornate che introducono l’Italia alle feste comandate, e che sono incongruamente chiamate “sessione di bilancio” mentre al contrario, considerata la loro natura ricorrente, dovrebbero trovare posto nel calendario dei santi, tra l’Immacolata Concezione e la nascita di Gesù bambino.

 

Funziona all’incirca così: la scandalizzata opposizione si rivolge alla rivale maggioranza, e dagli scranni del Parlamento o dai microfoni di uno studio televisivo o radiofonico urla per alcuni giorni cose abbastanza perentorie e gravi che tuttavia aveva già sentito urlare l’anno precedente agli altri, quando si trovava lei al governo e quelli invece erano all’opposizione. A questo punto la maggioranza, che le ha già sentite (ma che le ha anche già dette), dà risposte che l’altro già conosce (in quanto le aveva a sua volta già pronunciate). Poi viene messo il voto di fiducia, e tutto finisce alla vigilia di Natale, con il panettone, come se non fosse mai accaduto. Salvo il fatto che però l’anno successivo si ricomincia da capo: Parlamento, salotto televisivo o radiofonico, le stesse urla, la stessa fiducia, lo stesso panettone, la stessa mosca che si posa sugli stessi nasi.

 

L’anno scorso, per dire, era Giorgia Meloni a lamentarsi del voto di fiducia e della compressione del dibattito parlamentare, mentre quest’anno le tocca mettere la fiducia e comprimere il dibattito parlamentare nonché ovviamente sorbirsi anche il collaudato cerimoniale nevrotico del Pd che si lamenta di ciò che lui stesso faceva l’anno precedente. Ogni volta c’è qualcuno che denuncia una specie di colpo di stato, mentre in realtà è tutto il solito, inesorabile colpo di noia. Così nelle redazioni, il vecchio e saggio caporedattore dagli occhi cisposi ripesca dalla cantina i titoli d’annata. “Come avevamo titolato nel 2013?”. Battaglia sulla manovra. “E allora oggi stappiamo un Bagarre alla Camera, vendemmia 2006”. E a tale ritualità tutti si attengono con vera passione, con ammirevole zero partecipativo, come se tutto fosse sempre nuovo, fresco, appena cominciato, accusandosi a turno e assumendo vorticosamente con la massima severità ruoli e funzioni del tutto interscambiabili. Una tale ricorrente sceneggiata andrebbe finalmente codificata, normata, come si fa con la festa di Sant’Agata o  il Carnevale di Viareggio. 

Di più su questi argomenti:
  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.