Così l'asse Giorgetti-Meloni fa cilecca sulla manovra, e manda in subbuglio il centrodestra

A Berlusconi non vanno giù i fischi ricevuti durante la festa di FdI: "Certa gente non sa cosa sia la riconoscenza"

Valerio Valentini

Le liti tra Mef e Montecitorio sugli emendamenti, col ministro dell'Economia che bacchetta il "suo" Fontana. Il leghista Freni all'azzurro Pella: "Tanto vale che andiate all'opposizione". Le promesse mancate di Lollobrigida sul Pos. E poi l'ira del Cav. con FdI e lo spauracchio del Mes. Così la maggioranza va in tilt

Fosse  solo una faccenda personale, si potrebbe liquidarla in breve: l’orgoglio ferito del vecchio patriarca che non si rassegna al  declino. Perché quei fischi durante la festa di FdI, sabato scorso, il Cav. proprio non li ha mandati giù: “Certa gente non sa cosa sia la riconoscenza”, è sbottato coi suoi confidenti. E uno dice: vabbè. Solo che dietro quell’insofferenza umana, c’è la politica. Ci sono, cioè, le tensioni tra FI e il resto della maggioranza che si stanno scaricando sul più delicato dei provvedimenti: la legge di Bilancio. Trovando del resto terreno fertile nei malumori diffusi in tutti i partiti, non solo quelli di opposizione. “Perché questo è un governo politico” sbuffa il capogruppo azzurro Alessandro Cattaneo, “e ci siamo impegnati in questa legislatura per tornare a dare centralità al Parlamento”. E invece?

E invece la Finanziaria procede a furia di forzature lungo un asse, quello tra Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti, che non ammette intromissioni. E siccome procede a tentoni, questo “dirigismo sovranista” non induce certo i berlusconiani ad accogliere le richieste (bizzarre) del Mef. E così quando, due giorni fa, il sottosegretario leghista Federico Freni ha domandato in ufficio di presidenza “un po’ di comprensione”, s’è ritrovato con l’azzurro Roberto Pella irremovibile (“Noi presenteremo comunque degli emendamenti, anche onerosi”) e s’è infuriato: “Se devi fare così, allora vai all’opposizione”. Solo che poi, quando domenica sera il meloniano Luca Ciriani, responsabile dei Rapporti col Parlamento, è arrivato alla Camera e, quasi come fosse un dettaglio, ha spiegato che “il governo utilizzerà una gran parte dello spazio di manovra inizialmente lasciato ai gruppi”, anche i leghisti hanno protestato. E d’altro canto lo stato confusionale, tra Via XX Settembre e Palazzo Chigi, è tale che lo stesso Giorgetti, arrivato in commissione Bilancio a notte inoltrata e trovatosi di fronte alla richiesta da parte degli uffici di Montecitorio di dividere il  dossier degli emendamenti governativi, ha allargato le braccia (“è la prima volta che la Camera chiede una cosa del genere, prendiamo atto di tanto zelo”), quasi non fosse una critica rivolta al presidente della Camera del suo stesso partito, Lorenzo Fontana. 

Fin qui, il metodo. Poi c’è la sostanza di una legge di Bilancio che, nel caos, muta forma senza seguire una logica. Sul Pos, ad esempio, già il 28 novembre da Forza Italia era stato sollevato il rischio di un possibile conflitto con l’Ue, e ad archiviare sbrigativamente i dubbi dicendo che “se abbiamo inserito la misura, è perché evidentemente abbiamo  verificato con Bruxelles”, fu quello stesso Francesco Lollobrigida, meloniano di ferro, che poi, tre giorni fa, ha arginato le critiche dei colleghi azzurri sbuffando: “Non è che siccome ora i giornali dicono che l’Europa ce la contesta, noi togliamo quella misura”. Poi Giorgetti ha confermato che sì, la misura era abrogata, e giù sghignazzi. “Una roba mai vista, neppure ai tempi in cui governava Toninelli”, confida un berlusconiano di lungo corso. E si capisce che allora Cattaneo, capogruppo dal fare dialogante, provi a stiepidire il clima: “Dobbiamo garantire coinvolgimento, collaborazione tra gruppi ed esecutivo, dando il sacrosanto spazio anche alle opposizioni”.

Ma il rischio che proprio partendo da FI le tensioni deflagrassero investendo tutta la maggioranza anche Giorgetti deve averlo avvertito, se è vero che s’è imposto con Palazzo Chigi per convincere tutti ad accogliere l’istanza del Cav. sull’aumento fino a 600 euro delle pensioni minime per gli over 75: ché evidentemente certe voci di ammutinamento azzurro (“Se poi si va in esercizio provvisorio, ci penserà la Meloni a spiegarlo agli italiani, visto che ora ci ha solo detto ‘Ci penso io’”), erano arrivate anche alle orecchie del leghista. Rischio scongiurato, pare. Almeno per ora. Almeno finché, ad esempio, la faccenda del Mes non troverà compimento. Ieri, in Transatlantico, Giorgio Mulè faceva mostra di ironico pragmatismo: “Mes più, mes meno, arriveremo a dama”. In FdI si sono informati coi colleghi di FI per sapere quanto fosse condivisa quell’opinione: “Per ora, ancora poco”, si sono sentiti rispondere.

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.