Litigi patriottici

FdI celebra i 10 anni, ma la festa nel Lazio diventa una faida

Gianluca De Rosa

A piazza del Popolo va in scena l'orgoglio del partito. Ma in platea si discute delle prossime regionali nel Lazio. Sabato tutti attendono il nome. Meloni ne ha in testa tre: Trancassini, Procaccini e Colosimo. Ma c'è un ostacolo: quell'incarico lo vuole Fabio Rampelli, il suo padrino politico

L’immensa tensostruttura bianca sotto il Pincio ricorda quelle che la Protezione civile installa per accogliere gli sfollati dopo un disastro naturale. Sarà forse per evitare questo effetto che il pavimento è stato interamente coperto da uno sfavillante tappeto rosso. A Roma, piazza del Popolo, d’altronde non c’è nessuna emergenza. Anzi. C’è da festeggiare. Come si legge nella mega grafica su sfondo bianco che campeggia qui e lì si celebra “il racconto di un lungo e incessante amore per l’Italia”. Diciotto tappe. Da quando s’iniziò “senza paura” 10 anni fa, fino all’Italia che “s’è desta”, ovvero Giorgia Meloni a palazzo Chigi. E mentre tra le decine di casette di legno tutte addobbate si gioca a padel, dentro la tensostruttura va in scena la prima giornata della festa dei 10 di Fratelli d’Italia, il partito della presidente del Consiglio che sabato, da questo palco, chiuderà la kermesse. Bruno Vespa intervista il presidente del Senato Ignazio La Russa. 


In platea però si parla di altro. Delle prossime elezioni regionali in Lazio. La scadenza si avvicina, gli alleati pressano, il centrosinistra è diviso, la vittoria un gol a porta vuota, ma il nome ancora non c’è. Sceglierlo spetta a FdI (in Sicilia FI ha decidette la candidatura di Renato Schifani oggi presidente della regione, mentre in Lombardia il leghista Attilio Fontana corre per il bis). Che farà Giorgia? Annuncerà da qui il nome del candidato? Un collega giornalista raccoglie scommesse. “Un euro su Trancassini?”, “Cinque sulla Colosimo?”. “Chi offre di più?”. E però l’annuncio non è affatto scontato. Il timore  è che la festa possa trasformarsi in una faida, financo in una scissione. E’ noto che Meloni ha in mente tre nomi: il coordinatore regionale e deputato Paolo Trancassini, l’eurodeputato Nicola Procaccini e l’ex consigliera regionale e attuale parlamentare Chiara Colosimo. I primi due entrambi non romani, racconterebbero la riscossa della provincia (sarebbe il primo caso di un governatore non romano). Mentre Colosimo sarebbe una sorta di Giorgia in versione mora alla testa del Lazio, un’altra lodevole leadership femminile.


C’è un grande ma. Si chiama Fabio Rampelli. Padre politico della premier, escluso da tutti i posti di governo e sottogoverno, sogna di essere il successore di Nicola Zingaretti. Più passano i giorni e più il suo malumore si fa palese. Il vicepresidente della Camera ha la sponda di Forza Italia. Il senatore e coordinatore romano degli azzurri Maurizio Gasparri continua a dire che “serve un nome politico noto”. Il secondo aggettivo esclude un altro candidato, il presidente della Croce rossa Francesco Rocca. Il secondo indica di fatto Rampelli, unico non sconosciuto al grande pubblico. Dicono i maligni, che anche Licia Ronzulli, che con la premier ha ancora il dente avvelenato, sostenga questa soluzione. 
Il timore di Meloni è che Rampelli possa usare la Regione per rafforzare la sua area, trasformando il Lazio in una sorta di feudo. 


Lui, che alla festa del partito dello scorso anno era uomo ovunque, da queste parti non s’è visto. I suoi collaboratori ci rassicurano: “Domani ci sarà senz’altro”. E però poco dopo arriva un lunghissimo comunicato che dà la dimensione della tensione che attraversa il partito. Il vicepresidente della Camera ricorda a Giorgia da dove viene, si erge a portatore della sua storia, dai tempi della storica sezione al Colle Oppio. “Voglio dedicare la festa di piazza del Popolo alla ‘generazione invisibile’ poi in parte evoluta nella ‘generazione Atreju, che ha sfidato ogni convenzione, rotto i ponti con il nostalgismo”, permettendo – questo è il sottotesto – a Giorgia Meloni di essere oggi a Palazzo Chigi senza essere tacciata di fascismo. E d’altronde, era il 22 settembre, quando la premier venne proprio qui, a piazza del Popolo, per chiudere la sua campagna elettorale. Rampelli si presentò insieme ai suoi fedelissimi con un pullman a due piani e l’inno di Mameli a tutto spiano. “Portiamo le periferie in centro, perché vinciamo ma non dobbiamo dimenticarci di chi rappresentiamo”, disse allora. E che oggi non si dimentichino di lui, sembrerebbe dire oggi.