Giorgetti fa l'antieuropeista sul Mes, ma ora il governo è solo in Ue

Valerio Valentini

Il ministro dell'Economia, costretto a dire una parola di chiarezza sulla ratifica del Fondo salva stati, cincischia mettendo in fila una serie di strambezze. Ma a promuovere il varo del trattato deve essere proprio lui. Che prende tempo, anche se quel tempo lo compra con parole imbarazzanti

All’improvviso, il 2018: riecco la guerra “all’Europa degli aguzzini”, quel “banale comitato di affari di usurai” (cit. Meloni). O forse no, forse solo un po’. Quel poco che basta per guadagnare tempo, anche se quel tempo lo si compra con l’imbarazzo. Perché le parole con cui Giancarlo Giorgetti boccia il Mes sono soprattutto questo: un condensato di insensatezze che, a prenderle per quel che appaiono, viene da dire: “Claudio Borghi, esci da questo corpo!”.

Solo che con Giorgetti è sempre un po’ così: a metà tra l’Asa Nisi Masa di Fellini e la terapia tapioco di Tognazzi, una roba in cui ciascuno può cercarvi chissà che significato profondo e impenetrabile, oppure il nulla. E infatti il ministro dell’Economia ha appena terminato il suo intervento alla Camera, e Luigi Marattin, che aveva promosso il question time per stanare il governo sulla ratifica della riforma del Fondo salva stati, scuote il capo: “Parole gravissime, se le sentissero a Bruxelles sarebbero dolori”. Ma un minuto dopo, a riconsiderare le frasi pasticciate del leghista, Enzo Amendola, che i rapporti con Bruxelles li ha gestiti per due anni, allarga le braccia: “S’è arrampicato sugli specchi”. Specialità della casa.

Insomma Giorgetti recita a Montecitorio una nuova puntata dell’opera buffa dei sovranisti alle prese col Mes. Una settimana fa, col tono di chi la sapeva lunga, aveva detto: “Sul Mes decideremo dopo che si sarà espressa la Corte costituzionale tedesca”. Ora che i giudici di Karlsruhe hanno detto che sì, il voto del Bundestag è pienamente valido, la testa d’uovo del leghismo ammette che Roma è rimasta sola: “Siamo coscienti dell’impegno assunto dall’Italia e che allo stato tutti gli altri aderenti abbiano proceduto alla ratifica”. E tuttavia ecco che Giorgetti ha il guizzo che non t’aspetti: quando la conclusione del discorso sembra dover discendere piana e lineare dalle premesse, lui stramba. “Ma emerge con chiarezza la necessità che la decisione di procedere o meno alla ratifica del Trattato sia preceduta da un adeguato e ampio dibattito in Parlamento”. Il che apparirebbe ridicolo, visto che le sessioni di dibattito in Aula dedicate al Mes, negli ultimi due anni, non si contano, se non fosse addirittura patetico. Perché l’indirizzo a procedere alla ratifica di un trattato come quello che istituisce il nuovo Mes deve avvenire dal Cdm, cioè dal governo, e più precisamente dal ministro responsabile, cioè da Giorgetti.

Il quale però, un attimo prima di cadere nella trappola che lui stesso s’è fabbricato, di nuovo salta nella vaghezza, rispolvera l’armamentario retorico dei bei tempi della guerra all’Europa. E allora precisa che “il Mes appare un’istituzione in crisi e per il momento in cerca di una vocazione, in parte per colpa sua e in parte no. E’ un’istituzione impopolare”. E aggiunge: “Nessuno fra i paesi europei ha voluto chiedere la sua linea di credito sanitaria, ad esempio”. E sarà  proprio per questioni di impopolarità, però, che 18 su 19 paesi, cioè tutti tranne l’Italia, hanno ratificato la  riforma del Mes. E sarà un caso, ma quasi in contemporanea, nell’Aula del Senato, Borghi, indefesso nostalgico della lira italica, prende la parola per ribadire che ratificare la riforma del Mes significa “mettere nero su bianco la possibilità di perdita sui titoli di stato, e i nostri risparmiatori che sottoscrivono ogni giorno il titolo di stato possono perdere il loro denaro”. Ohibò. Eccolo, allora, l’autore della risposta di Giorgetti: è Borghi! Anzi no, perché subito dopo, il ministro dell’Economia ci tiene a far sapere che lui mica è un reietto, a Bruxelles, anzi confida che “un proficuo confronto potrà essere instaurato anche con il nuovo direttore generale del Mes, Pierre Gramegna, nominato recentemente, anche grazie all’attivo contributo del nostro paese”. Che è vero: perché Giorgetti si è speso non poco, per promuovere al vertice del Mes quel Gramegna, ex ministro delle Finanze lussemburghese, che nella sua lettera di candidatura spiegava che “il mio primo e principale obiettivo sarà di accompagnare la piena ratifica e la conseguente attuazione del pacchetto di riforma del Mes”. Dunque Giorgetti, nell’opporsi alla ratifica del nuovo trattato del Mes, rivendica di aver eletto un direttore del Mes che ritiene fondamentale che l’Italia si dia una mossa a ratificare il nuovo trattato del Mes. E lo dice, Giorgetti, con gravità di toni: come se fosse antani, più o meno.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.