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In piazza il 17

Dopo le armi, il lavoro: il prossimo fronte di distinguo “né-né” per il Pd

Marianna Rizzini

I candidati alla segreteria del Partito democratico mostrano sensibilità diverse su come affrontare il tema dell'occupazione e del precariato. La manifestazione contro la manovra del 17 dicembre sarà l'occasione per un primo confronto pubblico pre-congressuale

Il Pd e il lavoro, il Pd e i lavori, il Pd e il recupero dei lavoratori che non votano più Pd: evocato a più riprese in questi giorni d’inizio campagna per le primarie, il lavoro sta diventando il metro attraverso cui misurarsi e contarsi. E passa anche da che cosa si intende per lavoro l’identità della nuova “cosa democratica”, come dice un deputato pd alludendo alla volontà della candidata Elly Schlein di mettere mano al nome del partito proprio in direzione di una maggiore attenzione al tema, a differenza del candidato Stefano Bonaccini, per il quale, ferma restando la centralità dell’argomento, non è il nome del partito il primo dei problemi. E però, a seconda di come ci si mette in campo per il lavoro, cambia in prospettiva tutto: future alleanze, collocazione, modo di fare opposizione.

Non per niente il segretario uscente Enrico Letta sembra puntare sul lavoro per un primo passo di riscatto pre-congressuale dopo la batosta delle urne, tanto più che la manifestazione del 17 dicembre contro la manovra economica, con contorno di scioperi, offre il contesto adatto: “La manovra è inadeguata rispetto al rischio recessione e all’impennata dell’inflazione”, ha detto Letta giorni fa, lanciando la mobilitazione. E il responsabile Economia del Pd Antonio Misiani è entrato nel dettaglio: “Aiuti contro il caro energia per soli tre mesi. Guerra contro i poveri e favori agli evasori. Poco o nulla per il lavoro e la crescita. Dulcis in fundo (si fa per dire...), da dicembre aumentano benzina e gasolio. E’ una legge di bilancio che aggraverà la crisi economica e sociale”. E insomma il segretario chiede di scendere in piazza mentre Carlo Calenda proprio sui toni lo punzecchia: “Enrico, fare manifestazioni contro la manovra senza proporre un’alternativa è esattamente l’opposizione che la destra si augura di avere. Vi manderemo il documento di dettaglio sulle proposte per una contromanovra più equa e giusta. Lavoriamoci insieme”. Ma è all’interno del Pd che il segretario si trova a dover pattinare tra lessico e visioni.

C’è infatti la linea Schlein (con tutta l’area Pd che guarda a sinistra, dove la concorrenza di Giuseppe Conte si fa sentire): la candidata si dice vicina alla Fiom e mette l’accento sull’idea di “partito del lavoro” in lotta contro il precariato e in avvicinamento a coloro che dal Pd si sono allontanati. Ma c’è anche la linea Bonaccini, che non a caso parla di “lavori” e non soltanto di “lavoro”, come per non lasciare troppo spazio a chi, sentendo Schlein, potrebbe guardare più al centro: “Non credo che il nome sia un problema in questo momento”, ha detto infatti Bonaccini, “non penso non ci votino perché ci chiamiamo Partito democratico, ci votano per le politiche che proponiamo o sappiamo fare e quindi io penso che il lavoro vada messo al centro, ma in questo momento mi interessa più la sostanza che la forma. Non vorrei che il nome fosse la forma mentre noi dobbiamo andare al cuore della sostanza. Dico ‘lavori’ perché non c’è più un lavoro tradizionale, ci sono i precari, milioni di partite Iva o professionisti che abbiamo lasciato colpevolmente alla destra o a Giorgia Meloni quasi fossero tutti evasori fiscali, mentre io conosco un sacco di ragazzi e ragazze a partita Iva che non arrivano oggi a fine mese”.

Anche la candidata ed ex ministro Paola De Micheli declina la parola lavoro in direzione dei problemi di alcune categorie dimenticate: “Il Pd deve tornare a essere il partito del lavoro, in questa campagna elettorale ho volantinato davanti alle fabbriche. È stato molto impressionante il volantinaggio davanti ad Amazon: i lavoratori chiedevano una serie di risposte a delle norme anche approvate dal Pd che riguardano il mondo della logistica. Sono persone con le quali dobbiamo tornare a parlare alla stessa altezza. Il Pd è il partito delle competenze, ma deve ritornare a essere anche quello delle appartenenze. Dobbiamo stare lì, andare noi da loro, il metodo deve cambiare. Abbiamo passato tanto tempo al governo a mediare, così le risoluzioni ‘non risolutive’ non sono state capite”. Si attende il 17, momento del primo confronto pubblico pre-congressuale tra sfumature dem sul tema, in piazza Santi Apostoli (e ci si domanda se, dopo i “né-né” pd sulle armi all’Ucraina, arriveranno anche quelli sul tema "diritti e impiego"). 
 

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.