la riforma

La Caritas può aiutare Meloni a riformare il Reddito di cittadinanza

Luciano Capone

Per realizzare una buona riforma che aiuti i poveri e premi il lavoro il governo ha il tempo, ma poche idee. Può trovare un alleato nelle proposte dell'associazione cattolica, ma deve superare qualche tabù ed evitare gli errori di Conte

Sul Reddito di cittadinanza Giorgia Meloni è sul fronte opposto a quello di Giuseppe Conte, ma in una situazione analoga a quella del M5s quando arrivò al governo. Nel 2018, sull’onda del successo elettorale, ai grillini non bastava aumentare la dotazione del Reddito d’inclusione (Rei), serviva un nuovo sturmento a marchio M5s per cambiare il nome a quello del Pd. Oggi, dopo la vittoria alle elezioni su una linea anti assistenzialista, Meloni ha l’esigenza speculare di “abolire” il Rdc per cambiare il nome alle misura del M5s. Il dibattito politico è, per forza di cose, dopato da questo bisogno propagandistico-comunicativo dei due fronti: abolire o no il Rdc.

 

La realtà, però, è molto più sfumata. Perché da un lato la maggioranza afferma sempre di voler mantenere un sostegno economico ai poveri che non sono in condizione di lavorare (affiancando politiche attive per gli “occupabili”, com’era nella logica del Rei), dall’altro lato le opposizioni – M5s incluso – sostengono che il Rdc vada modificato nei diversi aspetti che lo rendono inefficace e distorsivo. La necessità di una riforma peraltro è condivisa dalla Banca d’Italia che, nella recente audizione al centro di accese polemiche con Palazzo Chigi su Pos e contanti, ha ribadito l’importanza del Rdc nella lotta alla povertà ma segnalando gli “aspetti critici” legati “alla duplice natura dello strumento, che è al contempo misura assistenziale e di politica attiva” e pertanto, dice Bankitalia, “la riforma complessiva annunciata dal governo potrebbe essere un’occasione per risolvere questa ambiguità”.

 

Rispetto alla riforma Meloni ha uno svantaggio e un vantaggio. Lo svantaggio è che non pare avere un’idea precisa di cosa fare, oltre la generica intenzione di sdoppiare lo strumento. Il vantaggio è che si è presa un anno per realizzarla, un tempo che le consente di evitare l’errore del governo Conte che decise, con un misto di arroganza e superficialità, di approvare il Rdc in breve tempo e senza ascoltare nessuno, producendo tutti i problemi che ancora ci trasciniamo dietro. Siccome il vantaggio è in grado di compensare lo svantaggio, il governo può usarlo per riempire di concretezza i suoi propositi riformatori.

 

Un aiuto può venire dalla Caritas, che da anni realizza analisi approfondite sul welfare, e che pochi giorni fa ha tenuto un seminario sul tema offrendo suggerimenti originali per riformare il Rdc, in parte proprio nella direzione indicata dal governo Meloni. Sono proposte lontane dalle contrapposizioni politico-ideologiche. Cosa che però non implica un percorso più agevole, anzi, perché i correttivi indicati dagli studiosi coinvolti dalla Caritas comportano il superamento di diversi tabù sia a destra sia a sinistra.

 

Uno dei problemi del Rdc è che da un lato raggiunge solo la metà di poveri assoluti, e dall’altro lato la metà di chi lo riceve non è povero. In questo senso, la Caritas propone un taglio del sussidio ai single per aumentarlo alle famiglie numerose modificando la scala di equivalenza. Un'altra proposta è abbassare il criterio di residenza da 10 anni che esclude tanti stranieri poveri. Un'altra è allentare le soglie patrimoniali, che escludono molti poveri. Un’altra ancora, visto l’ampio divario territoriale nei prezzi, è l’introduzione di soglie differenziate ma in maniera composta: una parte uguale in tutta Italia e una variabile in base al costo della vita. Altre modifiche riguardano l’attuale incentivo implicito al lavoro nero, da superare rendendo più conveniente il cumulo tra sussidio e salario, in modo da premiare il reddito da lavoro e i lavoratori poveri. Come dice la Banca d’Italia, il governo Meloni ha davvero un’occasione per realizzare una buona riforma. Ma servono coraggio politico, apertura e capacità di ascolto.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali