(foto Ansa)

Sul Pnrr indugiare è già morire. Appunti per Meloni

Giuliano Ferrara

Scaricare le responsabilità e chiedere proroghe per il Recovery plan, come sembra voler fare il governo, sarebbe il fallimento definitivo per l’Italia. Ma non si salverebbe nemmeno un’opposizione senza idee

Per quanto si possa essere scettici sui nostri fondamentali riguardo alla capacità di dare corso attraverso progetti, esecuzione e spesa a grandi volumi di investimenti; per quanto il mancato utilizzo di gran parte dei fondi europei ordinari dimostri che è da lunga data un problema di sistema, dovrebbe essere chiaro alla presidente del Consiglio che mettere le mani avanti sulle scadenze imminenti, addossare responsabilità al precedente esecutivo, traccheggiare sulle riforme e sulle altre condizioni per ricevere i fondi del Next Generation Eu, chiedere proroghe temporali e ritocchi procedurali in polemica con la Commissione non è la soluzione. Il problema è gigantesco, urgente. Un insuccesso in materia sarebbe una sconfitta strategica per il paese o la nazione, come con termine impreciso e altisonante preferisce dire Meloni. Riguarda anche le opposizioni, che invece di dividersi tra chi si infila legittimamente per trattare a Palazzo Chigi, con un tanto di azzardo politicista, e chi manifesta in strada su piattaforme generiche, con poca fantasia politica, dovrebbero indagare con precisione, rendere conto all’opinione pubblica dei dati in loro possesso e costituire un comitato ombra capace di tallonare ogni centimetro del percorso istituzionale che porta a ricevere o no le immense fette di torta e a saperle spendere operativamente, quote immense di ricchezza potenziale e di sviluppo in parte pagate o anticipate dai contribuenti dei nostri paesi partner, destinate all’Italia per la modernizzazione e il riequilibrio dell’economia europea.

 

Purtroppo da quel che si capisce il governo sta invece percorrendo, per incertezza e timore di fallire, proprio la strada recriminatoria e dilatoria. Non è ancora chiaro chi coordina davvero il tutto, tra le deleghe a Raffaele Fitto a Palazzo Chigi e i compiti di istituto del ministero dell’Economia. I segnali populisti della manovra di Bilancio, che contiene anche scelte ovvie e giuste, vanno nella direzione opposta al tragitto di riforma fiscale e della concorrenza al quale ci siamo impegnati all’atto degli stanziamenti (che sono per due terzi a nostro favore, perché siamo noi il problema dell’Unione). Mancare l’obiettivo di spendere e realizzare in tempi certi, in questo caso, sarebbe catastrofico. Sarebbe come se non avessimo fatto all’epoca la riforma agraria, come se non avessimo varato e realizzato il Piano Casa, come se la politica industriale delle Partecipazioni statali avesse perduto di vista gli obiettivi dell’Italia del Boom e della trasformazione, come se non avessimo completato, per dire, l’Autostrada del Sole.

Quei molti soldi servono per le infrastrutture, per l’istruzione pubblica, per la ricerca, per la rete digitale, per cento altri capitoli della modernizzazione italiana: perderli o dissiparli sarebbe un suicidio nazionale. Non si può fare in materia della piccola politica, non si possono cercare escamotage verbali o cavilli, non si può nemmeno agire in solitudine, sebbene questo governo rivendichi a ragione la sua piena responsabilità di guida e aspiri alla stabilità e alla durata: un’apertura all’opposizione e una ricerca di collaborazione a livello europeo sarebbero una scelta ragionevole. Sulla questione si misura una classe dirigente in generale, e nemmeno l’opposizione uscirebbe bene da un fallimento di simili proporzioni, non ci vuole molto a capirlo.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.