il dibattito in aula

Amendola vs Conte. Sull'Ucraina si scontrano due idee di sinistra

Luciano Capone

Nel dibattito parlamentare sugli aiuti militari a Kyiv, i due ex alleati e compagni di governo esprimono due posizioni inconciliabili. Sul tema della pace e della guerra Pd e M5s si contendono l'egemonia e il futuro dell'opposizione

Uno dice che “col passare dei mesi in tanti hanno fatto l’abitudine alla guerra”. L’altro risponde: “Noi non ci siamo abituati, come dice qulacuno, per noi è sempre stata netta la richiesta di un negoziato”. Uno afferma che all’inizio è stato favorevole agli aiuti militari all’Ucraina ma, a differenza di altri, il suo era “un aiuto derivato non già da pulsioni belliciste, ma dalla convinzione di porre un argine all’iniziale asimmetria delle forze in campo”. L’altro replica che “la guerra a oltranza è solo nelle teste dei siloviki del Cremlino”.  Seguendo il dibattito alla Camera sull’Ucraina, si fatica a credere che Giuseppe Conte e Enzo Amendola abbiano fatto parte dello stesso governo, il secondo ministro del primo.

 

Sono stati alleati per quasi tre anni, dalla nascita del governo giallorosso alla caduta del governo Draghi, e hanno lavorato fianco a fianco, da presidente del Consiglio e ministro per gli Affari europei, soprattutto nelle trattative sul Recovery fund dopo la pandemia. Ora sul sostegno all’Ucraina Conte e Amendola esprimono due posizioni politiche e due visioni del mondo che sono agli antipodi. Due modi diversi di intendere il ruolo dell’opposizione e di incarnare i valori della sinistra. Il presidente del M5s, che giustifica il cambiamento di linea rispetto all’invio di aiuti militari con il mutato peso delle forze in campo, rappresenta la sinistra pacifista, sia quella laica sia quella cattolica, che ha organizzato la grande manifestazione del 5 novembre. Dice Conte che “sul piano delle armi e del sostegno militare si è agito tanto, anche troppo. Di diplomazia, di negoziato, a oggi nessuna traccia. Non vale l’obiezione che non c’è possibilità di pace, la pace va costruita”. In sostanza, se la colpa della guerra è della Russia che l’ha iniziata, la responsabilità del suo protrarsi è della Nato e dell’Europa che insistono con il sostegno militare invece di spingere sulla trattativa per il cessate il fuoco.

 

L’esponente del Pd, che invece conferma la linea di sostegno al paese aggredito indicata dal segretario Enrico Letta, rappresenta la tradizione della sinistra europeista ed euroatlantica, sia laica sia cattolica, dal migliorismo di Giorgio Napolitano al cattolicesimo democratico di Sergio Mattarella, che in quella piazza è stata fischiata. Amendola risponde che è un proposito giusto volere “una nuova fase del conflitto o un cambio di passo”, ma la realtà è che “le fasi sono sempre state dettate dal Cremlino” che bombarda, conquista e annette: “Non abbiamo bisogno di capriole o di abiure”, dice l’ex ministro riferendosi al suo ex premier, perché “non esiste un’opzione di cessate il fuoco che esclude di aiutare chi è sotto il fuoco”.

 

Conte affianca all’idealismo pacifista un approccio realista: “Non possiamo pensare di conseguire un’illusoria vittoria militare sulla Russia, la disfatta della Russia, con il rischio di scatenare un conflitto incontrollabile e una catastrofe nucleare”. Amendola ribatte che dietro il realismo del sostegno militare c’è la difesa degli ideali: “Non si può auspicare un negoziato in nome di pace e difesa della libertà, sminuendo le ragioni dell’aggredito o negandole come fossero un impaccio”, perché “nel caso ipotetico che l’aggredito ammainasse le bandiere, l’accordo cancellerebbe i valori che si proclamano perché sarebbero piegati dal sopruso”. C’è il passaggio sulla politica interna, con il leader del M5s ad avvisare sul rischio che “questi sforzi diventeranno rispetto alle nostre democrazie intollerabili, dal punto di vista politico ed economico” e ad accusare il governo di essere al servizio “della potente lobby delle armi” perché parla di aumento di spese militari mentre c’è una crisi economica e sociale. L’esponente del Pd invece ribatte che “in gioco non ci sono sondaggi o tatticismi, ma il ruolo internazionale dell’Italia” rispetto all’aggressione della Russia all’Ucraina e all’Europa: “La responsabilità della classe dirigente sarà misurata su questo”.

 

Non sono mancati passaggi carichi di pathos, o anche patetici, a seconda dei gusti. “C’è la necessità di dare voce all’anelito di pace: nella grotta, il bambino di Kyiv non chiede di continuare in questo modo, chiede la pace”, dice Giuseppe Conte. Mentre Amendola evoca la necessità di difendere “il popolo ucraino costretto in trincea o nei sottoscala a nascondere sottoterra la bandiera nazionale, per poi dissotterrarla come ha fatto un’anziana a Kherson”.

 

Dal dibattito parlamentare è chiaro che esistono due posizioni inconciliabili e due opposizioni divise su una questione fondamentale di politica estera. Che non è tanto il prodotto del diverso background valoriale, dato che quello di Conte si è dimostrato modellabile come il pongo, ma è il prodotto della sfida politica di Conte per conquistare l’egemonia della sinistra. Finora nel Pd, che è impegnato nella “fase costituente”, il tema dell’Ucraina è rimasto molto sottotraccia, anche se sono emerse posizioni in linea con il contismo come quella di Elly Schlein o più sfumate nel tentativo di riaprire un negoziato con il M5s come quelle della troika Matteo Ricci-Goffredo Bettini-Andrea Orlando.

 

L’intervento di Amendola, che rivendica “senza bisogno di capriole” quanto fatto finora dal Pd al governo, respinge questa prospettiva di ricerca di un’intesa tattica con il M5s anche passando sopra alcuni valori. “Il negoziato che noi auspichiamo non può rimuovere i principi che difendiamo”, ha detto Amendola riferendosi alla guerra in Ucraina. Ma forse, inconsciamente, anche al congresso del Pd.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali