Roberto Tartaglia (Ansa)

la nomina

Meloni sceglie l'allievo di Ingroia

Ermes Antonucci

Roberto Tartaglia, uno dei pm del processo sulla fantomatica "Trattativa stato-mafia" (bocciata dai giudici), sarà vicecapo del Dipartimento degli affari giuridici e legislativi (Dagl) della presidenza del Consiglio

Non si ferma l’ascesa ai vertici delle istituzioni dell’“enfant prodige” – così lo definì il Fatto – dell’antimafia militante: l’ex sostituto procuratore di Palermo, Roberto Tartaglia. La premier Giorgia Meloni ha infatti deciso di nominarlo come vicecapo del Dipartimento degli affari giuridici e legislativi (Dagl) della presidenza del Consiglio dei ministri, incarico che il magistrato ha già ricoperto negli ultimi scampoli del governo Draghi. Una carica di assoluto rilievo, visto che il Dagl svolge un’attività di coordinamento dell’intera attività normativa del governo, mettendo in collegamento i vari uffici legislativi coinvolti, di volta in volta, nel procedimento di adozione dei provvedimenti poi discussi in Consiglio dei ministri. 

 

Classe 1982, cresciuto con il mito di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Tartaglia ha svolto la funzione di sostituto procuratore a Palermo dal 2011 al 2019. Soltanto nove anni, ma tanti sono bastati per proiettarlo nell’olimpo dei magistrati antimafia duri e puri. Tartaglia ha infatti avuto la fortuna di essere coinvolto, da protagonista, nell’inchiesta simbolo portata avanti negli ultimi anni dalla procura di Palermo, quella sulla fantomatica “Trattativa stato-mafia”, insieme ai colleghi Antonio Ingroia, Vittorio Teresi, Nino Di Matteo e Francesco Del Bene. Inchiesta finita con una bocciatura sonora in ogni sede giudiziaria: in rito abbreviato, con l’assoluzione definitiva dell’ex ministro Calogero Mannino, ritenuto dai pm “promotore” della Trattativa, in rito ordinario con l’assoluzione in appello dei vertici del Ros Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno, e dell’ex senatore Marcello Dell’Utri

 

La notorietà acquistata attraverso il processo sulla Trattativa è bastata al giovane Tartaglia per spiccare il volo. Nell’aprile del 2019, nonostante avesse svolto la funzione di magistrato per soli nove anni, Tartaglia è stato nominato consulente della Commissione parlamentare antimafia presieduta dal grillino Nicola Morra, un altro abituato a vedere ovunque intrecci politici, mafiosi e massonici. Il tutto per la gioia del Fatto quotidiano, che in un articolo giunse a definire Tartaglia “l’enfant prodige della procura” di Palermo. Del resto era stato proprio Tartaglia ad aprire la requisitoria del processo sulla “Trattativa” all’aula bunker palermitana, sostenendo che una parte delle istituzioni avesse portato avanti una “mediazione occulta” con Cosa nostra, il cui risultato era stato “di fatto la realizzazione totale dei desideri più antichi e spinti di Cosa nostra”. Era stato lui, Tartaglia, ad affermare che erano due i politici che in momenti diversi avevano “fatto da motore e da cinghia di trasmissione” alla minaccia mafiosa contro lo stato, cioè Mannino (poi assolto in via definitiva) e Dell’Utri (poi assolto in appello). 

 

La consulenza di Tartaglia a Palazzo San Macuto, però, è durata soltanto un anno, fino a quando, nell’aprile del 2020, il ministro (sempre grillino) della Giustizia Alfonso Bonafede decise di nominarlo vicecapo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Un modo per rispondere all’ondata di indignazione causata dallo scandalo (infondato) delle scarcerazioni dei boss mafiosi durante l’emergenza pandemica. Travolto dalle critiche, il Guardasigilli M5s decise in sostanza di “commissariare” l’allora responsabile del Dap Francesco Basentini, affiancandogli un simbolo dell’antimafia come Tartaglia. 

 

Confermato al Dap dal successore di Bonafede, Marta Cartabia (chissà quanto per convinzione o per richiesta della parte grillina che sosteneva il governo), Tartaglia pare che abbia cominciato a mostrare segni di insofferenza in seguito alla nomina lo scorso marzo del suo nuovo superiore, Carlo Renoldi, ritenuto troppo garantista dal mondo antimafia che ruota attorno al Fatto quotidiano. Ritenuto evidentemente un fenomeno di cui non poter fare a meno, a giugno il premier Mario Draghi ha deciso di nominarlo vicecapo del Dagl, carica ora riconfermata da Meloni. Non una sorpresa, se si considera che la nuova premier ha giustificato l’adozione del decreto sull’ergastolo ostativo sostenendo che quest’ultimo sarebbe finito “nelle famose trattative e nei papelli della mafia”. Peccato che le trattative tra lo stato e la mafia non siano mai avvenute e il famoso papello presentato da Massimo Ciancimino nel processo sulla Trattativa sia stato definito dai giudici frutto di una “grossolana manipolazione”. Ma nulla sembra fermare la carriera dell’enfant prodige dell’antimafia.