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il discorso

Meloni determinata come un nano di Tolkien

Salvatore Merlo

Il premier incassa la fiducia alla Camera. Ecco l’underdog sottovalutata da Salvini e dal Cav. che li sta mettendo nel sacco 

Da quando a quindici anni vinse da sfavorita un congresso giovanile di Alleanza nazionale, i suoi amici dicono con ironico affetto che Giorgia Meloni, piccola e compatta com’è, una che porta indosso quella crosta di rustichezza tipica di chi s’è fatta da sola, “è determinata come un nano di Tolkien”.

Quello che scendeva negli abissi della montagna, a cavare la roccia. E bisognava allora osservarla ieri, la presidente del Consiglio, una personcina dal passo rapido e per niente ondeggiante, un modello fuoriserie che attraversa il Transatlantico di Montecitorio per raggiungere l’Aula della Camera e tenere il discorso della prima fiducia davanti ai deputati: camminava così spedita che nessuno avrebbe mai pensato di fermarla. “Sono la prima donna incaricata come presidente del Consiglio dei ministri nella storia d’Italia”, dice a un certo punto. “Provengo da un’area culturale che è stata spesso confinata ai margini della Repubblica. E non sono certo arrivata fin qui fra le braccia di un contesto famigliare e di amicizie influenti”, aggiunge. “Rappresento ciò che gli inglesi chiamerebbero l’underdog. Lo sfavorito, che per affermarsi deve stravolgere tutti i pronostici. Ed è quello che intendo fare ancora”, conclude. “Stravolgere tutti i pronostici”. E non appena Meloni pronuncia quella parola, underdog, che sta a indicare lo sfavorito, sì, quello che guidava un partito del 2 per cento, dunque il sottovalutato che proviene dalla Garbatella e da quel mondo di sconfitti che Marco Tarchi definiva “esuli in patria”, ecco che si sollevano all’unisono gli sguardi di Matteo Salvini e di Antonio Tajani. I due vicepremier, che le stanno accanto, la osservano e poi incrociano i rispettivi sguardi interrogativi: ma che vuol dire underdog? Ma che sta dicendo questa? Non la capiscono. E in realtà non le credono. Nemmeno quando lei dice di essere “determinata” a decidere, a fare di questo governo qualcosa che funzioni “persino a rischio di non essere rieletta”. A dispetto dei giochi politici degli alleati. E infatti tutt’intorno i deputati di Lega e Forza Italia sorridono e si danno di gomito. Scommettono sulla durata del governo.

Il semipresidenzialismo, la sburocratizzazione, i poteri di Roma capitale d’Italia, la riduzione delle tasse, la lotta all’evasione, il gas da prendere nei nostri mari a ogni costo, l’Europa comunità di destino, la libertà d’impresa, il Patto atlantico e il sostegno all’Ucraina in guerra, il rispetto dei conti pubblici che è parte dell’affidabilità nazionale non meno della politica estera. E questo mentre Matteo Salvini, poche ore prima, aveva invece messo giù una  fantasiosa e costosa lista della spesa composta di tasse piatte e pensioni per tutti, praticamente anche senza contributi. Un gelato e buffetto per ciascuno. “Non faremo ciò che ci piace ma ciò che si deve”, dice al contrario Giorgia Meloni nell’Aula della Camera dei deputati mentre né Salvini né Antonio Tajani, nessuno degli alleati di governo che pure la applaudono, la prende sul serio. Nessuno le crede. In Forza Italia sono già iniziati giochetti di sottogoverno, piccole miserabili lotte. Nei capannelli, nel cortile di Montecitorio, i deputati del centrodestra si chiedono quanto durerà. Fanno scommesse. Un anno e mezzo?

E’ il minimo, dicono. La Lega è attraversata dall’ambizione di Salvini, che vuole recuperare i voti perduti, riprendersi la roba facendo il controcanto. Le frasi sonore di Meloni vengono archiviate come retorica. Anzi, la solita retorica. “Ma forse c’è chi ancora non conosce Giorgia”, dice Francesco Lollobrigida. Solo quelli di Fratelli d’Italia, quelli che vengono da An pensano di sapere. Di avere capito quello che gli altri non vedono.  E lo ripetono: “Guardate che quella è determinata come un nano di Tolkien”. Ecco. Come ha negato a Silvio Berlusconi  il ministero della Giustizia e la delega alle Telecomunicazioni, facendolo imbestialire, come ha imposto a Salvini Giancarlo Giorgetti all’Economia, il ministro che ieri indossava il doppiopetto di Draghi e la cravatta verde di Bossi, così Meloni vorrà governare tutto il resto. “Io brutte figure non ne faccio”, ripete da settimane in privato. “E non permetterò che un’intera storia politica finisca tra le pernacchie. Se questo governo cadrà un giorno, cadrà in piedi. Io mi gioco tutto”. E così  ieri questa donna piccola e tosta parlava da leader dell’intero schieramento, anche della Lega e di Forza Italia. Cosa che non riusciva a Salvini ai tempi d’oro, e solo raramente al Cavaliere. Il vantaggio dell’underdog, della sfavorita, è quello di essere sottovalutata. Da tutti. Berlusconi la chiama “bambina”, Ronzulli dice di lei cose irriferibili, Salvini e i suoi la motteggiano anche con canzoncine in stile “supercafone”. E lei? Lei scava come un nano di Tolkien. Un passo alla volta. Dopo le europee: il partito unico dei conservatori. E forse non ce ne sarà più per nessuno.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.