Da La Russa alla Rai. Le trame della Meloni con Renzi, Letta e Conte

Valerio Valentini

La leader di FdI sembra andare più d'accordo con le opposizioni che coi suoi alleati. Il presidente del Senato: "I voti per me? Anche nel Pd mi vogliono bene". E una componente della segreteria dem rivendica l'operazione. Il Terzo polo punta al Copasir e a una vicepresidenza. Il M5s alla Vigilanza. E ad Arcore c'è chi storce il naso: "Giorgia cerca truppe di riserva, ma così finisce male"

Ignazio La Russa la definisce “logica di compensazione”. Se insomma Giorgia Meloni fatica a intendersi coi suoi alleati, non è poi così paradossale che il dialogo con le opposizioni guadagni consistenza. Il che poi vale anche in senso opposto: “Perché se  come opposizioni, siamo frammentate – spiegava giorni fa Francesco Boccia, luogotenente lettiano – rischiamo che a spuntarla, tra noi, sia quello che ha maggiori sponde con la leader di FdI”. E non doveva essere solo un’allusione alle supposte trame centriste, se è vero che all’indomani della sua elezione, il neopresidente del Senato mostrava stupore di fronte a chi gli chiedeva se a garantirgli i voti necessari, nel segreto dell’urna, fossero stati più i renziani o più i grillini: “E perché, escludete che anche nel Pd possano volermi bene?”. E allora ecco che si faceva meno vaga quella battuta che un’esponente della segreteria del Pd, una delle fedelissime di Letta, rivolgeva in quelle stesse ore a un senatore azzurro, che non la prendessero cioè come uno sgarbo, quelli di Forza Italia, “se per questa volta vi abbiamo rimpiazzati”. Confessione? Smargiassata? Goliardia da Transatlantico?

Di certo c’è che il dialogo tra Meloni e Letta non nasce oggi. I due si sono corteggiati per mesi,  nella speranza di innescare una polarizzazione di cui però, al dunque, si è giovata solo la leader di FdI. Che nei giorni precedenti al rodeo di Palazzo Madama ha contatto non solo il segretario, ma anche dirigenti e ministri uscenti del Pd. E così, a dispetto delle polemiche d’ordinanza su Twitter, Letta sa che una triangolazione con chi guida il partito di maggioranza relativa resta decisiva per garantirsi un ruolo egemone come capo dell’opposizione. Per questo, nei giorni scorsi, quando ha coltivato la tentazione di promuovere un mezzo blitz per nominare nuove capogruppo a lui vicine (Anna Ascani e Valeria Valente) e vicepresidenti congeniali al disegno di disarticolare le correnti (Nicola Zingaretti e Marco Meloni), con l’obiettivo di blindare le truppe parlamentari prima della sua abdicazione, lo ha fatto confidando in un sostegno da parte di FdI nel voto  cervellotico che determina la composizione degli uffici di presidenza. Il tutto, prima che il fuoco di sbarramento di tutti i capicorrente lo inducesse a riconsiderare, in vista della decisiva riunione con deputati e senatori di questo pomeriggio, l’ipotesi di un congelamento delle presidenti dei gruppi attuali  fino al congresso.

Quanto a Renzi, strologare su una sua  confidenza con Meloni sarebbe perfino superfluo, visto che lui stesso, giovedì scorso, avvicinandosi ai banchi del Pd, la certificava, riferendo di averle parlato solo poche ore prima: “Le ho detto come mai non assegnasse un posto di governo alla Ronzulli, così da chiudere questo teatrino. Ma niente, ormai è una guerra a chi tiene più duro”. Più che offrirsi come stampella, in effetti l’obiettivo del leader di Iv è un altro. Il buon vicinato con la “cara Giorgia”, semmai, potrebbe servire per il voto sulle commissioni di garanzia: per quel Copasir, cioè, a cui il Terzo polo dice di  puntare, e il cui presidente verrà deciso a metà novembre con un voto a scrutinio segreto tra i componenti del Comitato per i servizi segreti. Ma lì gli equilibri vanno definiti con accordi dell’ultimo minuto. 

Gli stessi che cerca anche Giuseppe Conte, pure lui per niente alieno dalla consuetudine con la leader di FdI. E non solo perché ora è lei, che dà le carte, e dunque è da lei che passerà la trattativa per la Vigilanza Rai. “Il loro è un rapporto costruito nel tempo”, dicono i consiglieri del capo del M5s.

Interessi convergenti, dunque. Perché se le ambizioni dei leader dell’opposizione sono la trama, di questa tela di trasversalità quasi indicibile, l’ordito è costituito dalle paure delle ansie della stessa Meloni. La quale sembra già, per usare le parole di un deputato berlusconiano, “andare in cerca di una truppa di riserva”. Per sterilizzare le minacce  di Matteo Salvini, domani, e per disinnescare le rivendicazioni sui ministeri da parte del Cav. oggi. La “logica della compensazione”, appunto. Che però, almeno a guardarla con gli occhi dei frequentatori di Arcore, ha un effetto perverso: “Temendo il tradimento di FI, Meloni fila la lana con Renzi. Il quale, però, guadagnando forza, potrà ispirare il tradimento di FI”. 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.