Atreju 2019 Giorgia Meloni, Thierry Baudet, Santiago Abascal (LaPresse - Andrea Panegrossi) 

I limiti del friendshoring secondo Giorgia Meloni

Luciano Capone

La premier in pectore attacca Bruxelles per non essersi occupata di questioni strategiche e invoca accordi economici con "i paesi alleati" per fermare le autocrazie. Ma FdI in Europa si è battuta strenuamente contro il Ttip con gli Usa, il Ceta con il Canada e l'Epa con il Giappone, mentre chiedeva di togliere le sanzioni alla Russia

Domenica Giorgia Meloni è intervenuta da remoto al raduno del partito della destra spagnola Vox. E lo ha fatto, da vincitrice delle elezioni, in una veste molto più moderata e istituzionale rispetto alla performance urlata dello scorso giugno, quando si era recata in Andalusia per sostenere la campagna elettorale regionale degli alleati. Nel suo intervento, a differenza del manifesto ideologico-identitario dell’altra volta (“Sì alla famiglia naturale, no alla lobby Lgbt; sì alla identità sessuale, no alla ideologia di genere; sì alla cultura della vita, no a quella della morte”, etc.), stavolta la leader di FdI ha fatto un discorso più articolato, presentando una sorta di manifesto europeo all’insegna di un protezionismo sussidiario.

 

L’idea è rilanciare il ruolo dell’Europa, indebolito da una globalizzazione che ha rafforzato le autocrazie, prevedendo catene di approvvigionamento sempre più corte: nazionali preferibilmente, europee ove possibile, con i paesi alleati se necessario, e via di seguito. Ma questa teoria pone dei problemi di coerenza alla destra italiana. Meloni dice ai militanti del partito di Santiago Abascal che “quando noi conservatori denunciavamo gli errori di un’Europa che si occupava di materie secondarie, piuttosto che delle grande questioni strategiche, non lo facevamo perché eravamo populisti o nemici dell’Europa: lo facevamo perché lucidi. E la storia ci ha dato ragione”.

 

Il contesto, ovviamente, è quello dell’invasione russa dell’Ucraina che ha mostrato un’Europa fragile perché eccessivamente dipendente dalle forniture energetiche russe. Pertanto, dice Meloni, serve un’Europa “capace di riprendere il controllo del suo destino, di avere un ruolo strategico, anche tornando a riflettere sulle sue catene di approvvigionamento”. Ciò vuol dire, secondo la premier italiana in pectore, ripensare i rapporti commerciali tenendo in maggiore considerazione i rischi politici relativi alla dipendenza dai regimi autocratici: “Bisogna partire da catene nazionali dove è possibile; catene europee dove non è possibile averle nazionali; friendshoring, cioè paesi alleati, quando non è possibile averle europee”.

 

Mettendo l’accento sul “friendshoring”, Meloni non fa altro che rilanciare una strategia espressa ripetutamente dal segretario di Stato statunitense Janet Yellen a favore di un “commercio libero ma sicuro”, quindi approfondendo l’integrazione economica e diversificando le supply chain, soprattutto in settori strategici (materie prime, tecnologia, etc), con paesi “amici” e affidabili per ridurre la leva geopolitica dei paesi e dei regimi “ostili”. Si tratta di una necessità, quella dell’autonomia dalle autocrazie, probabilmente a lungo sottovalutata ma che si è drammaticamente manifestata prima con il Covid e poi con la guerra scatenata da Putin. In questo contesto, è evidente che l’Ue non ha fatto abbastanza, ma non è vero, come dice Meloni, che le sue critiche erano “lucide” e che la storia le “ha dato ragione”. Perché se l’Europa ha fatto poco, per Meloni stava facendo troppo. Se Bruxelles si è mossa lentamente nella direzione giusta, i sovranisti alla Meloni proponevano di correre nella direzione sbagliata. Alcuni esempi, proprio in tema di “friendshoring”.

 

Negli anni passati, l’Europa si è impegnata in una serie di accordi di libero scambio per omologare le regole e intensificare le relazioni economiche con paesi “alleati”: il Ttip con gli Stati Uniti, il Ceta con il Canada, l’Epa con il Giappone. Il problema è che Meloni – insieme ad altri partiti populisti, dalla sinistra ai Verdi, dalla Lega al M5s passando per la Cgil – si è sempre opposta a questi accordi. Sul Ttip, un accordo che poi si è arenato, Meloni accusava l’allora ministro Calenda, favorevole al trattato, di far parte di “un governo che ha il preciso scopo di svendere ai poteri forti internazionali ciò che di buono rimane dell’Italia”. Sull’Epa, l’accordo con il Giappone idem: “FdI quando sarà al governo farà di tutto per bloccare questo ennesimo trattato contro l’Italia e il lavoro italiano”. Il Ceta, il trattato di libero scambio Ue-Canada, veniva definito “una porcata contro i bisogni dei popoli. FdI si batterà in Italia contro la ratifica”. In realtà, le cose sono andate diversamente: secondo i recenti dati della Commissione Ue, a cinque anni dall’applicazione provvisoria del Ceta, l’export italiano è aumentato del 36% (più del doppio rispetto all’export verso altri paesi extra Ue), raggiungendo i 7 miliardi di euro nel 2021.

 

Ma oltre a opporsi ostinatamente ad accordi con le democrazie occidentali, Meloni era anche schierata ferocemente contro le sanzioni alla Russia di Putin: “Dopo le folli sanzioni alla Russia – diceva – l’Europa ci svende agli interessi di Obama con il Ttip”. Mentre “i burocrati di Bruxelles” tentavano forme di friendshoring, la destra “patriottica” si opponeva agli accordi commerciali con le democrazie occidentali ed era favorevole al libero scambio solo se con la Russia di Putin. Ora le cose sono cambiate, evidentemente Meloni si è ricreduta, ma eviti di fare lezioni sugli errori strategici dell’Ue. Piuttosto, appena sarà al governo potrebbe rilanciare in sede europea quegli accordi di friendshoring che lei ha contribuito a bloccare, come il Ttip con gli Usa, e ratificare il Ceta col Canada, visto che l’Italia è tra i paesi che non l’hanno ancora fatto.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali