Luigi Federico Signorini (Ansa)

ministro cercasi

Signorini per Giorgia. Perché il dg di Bankitalia può essere il nome giusto per il Mef

Luciano Capone

Il suggerimento arriva da Draghi: grande competenza ed esperienza internazionale, è entrato in contrasto con il governo Conte e ha subito la rappresaglia gialloverde. Luigi Federico Signorini non è certo di destra, ma un liberale "non di sinistra". Ecco perché Meloni potrebbe puntare su di lui

“È semplicemente impossibile, perché sarebbe la persona migliore per il paese” dice chi lo conosce, tra l’incredulo e lo scaramantico. Eppure nel complicato processo di scouting e casting di Giorgia Meloni per selezionare il ministro dell’Economia del prossimo governo è stato suggerito, sembra proprio da Mario Draghi, il nome di Luigi Federico Signorini. Il direttore generale della Banca d’Italia, in effetti, sebbene abbia un profilo adeguato al ruolo, non è entrato nel totocandidati perché non ha molte relazioni, a parte quelle istituzionali, con la politica e probabilmente anche perché la sua visione del mondo e dell’economia non è vicina a quella della destra sovranista e populista. Ma non mancano i motivi per cui, alla fine, Meloni potrebbe puntare su di lui.

 

Innanzitutto il curriculum. Signorini ha quasi 67 anni, da un anno è direttore generale della Banca d’Italia e quindi vice del governatore Ignazio Visco, e in questo ruolo partecipa ai più importanti consessi europei e internazionali, come il Financial stability board (Fsb), il Consiglio generale della Bce, gli organi della Banca per i regolamenti internazionale (Bri), del G7 e del G20. Si è laureato in Economia all’Università di Firenze e poi ha studiato a Harvard, prima di entrare nella Banca d’Italia dove ha svolto la sua intera carriera: prima si occupa di politica industriale nel Servizio studi, poi di sviluppo economico territoriale, nel 1998 diventa capo della Direzione statistica e dieci anni dopo, nel 2008, passa alla Vigilanza bancaria e finanziaria, prima come capo del Servizio normativa e poi come capo del dipartimento Vigilanza. Nel 2013, infine, entra nel Direttorio della Banca dove viene confermato come vicedirettore generale e poi come direttore generale nel 2021, quando Daniele Franco diventa ministro dell’Economia di Draghi.

 

Dal punto di vista delle caratteristiche personali, Signorini è un fiorentino che sta lontano dai riflettori, che preferisce le grandi letture alla mondanità. È conosciuto a livello internazionale per il suo incarico, parla un inglese perfetto e viene descritto come una persona con un’“elevatissima qualità intellettuale”: un tecnico sì, ma con una visione un po’ più ampia delle cose. “Un liberale a tutto tondo” dice chi lo conosce, “un liberista” dice invece chi è su posizioni meno favorevoli al libero mercato. Pochi contatti con la politica, a parte un’esperienza da consulente e speechwriter dell’allora presidente del Consiglio Lamberto Dini nel 1995-96.

 

Di frizioni con la politica invece ne ha avute, soprattutto durante il governo gialloverde. Signorini, infatti, per anni è stato incaricato di intervenire per conto della Banca d’Italia nelle audizioni parlamentari per commentare i progetti di finanza pubblica dei governi. Si espresse in maniera critica rispetto alla politica economica targata M5s-Lega, che magnificava moltiplicatori grandiosi per la spesa corrente senza curarsi delle conseguenze per il debito pubblico. Criticò, nello specifico, sia Quota 100 smontando le favole sugli effetti positivi per l’occupazione dei giovani, sia il Reddito di cittadinanza avvertendo sugli effetti di disincentivo sull’offerta di lavoro.

 

Questi commenti comportarono la rappresaglia di Luigi Di Maio e Matteo Salvini, allora impegnati in una guerra a Ignazio Visco. I due, attraverso Giuseppe Conte, nel febbraio 2019 presero di fatto in ostaggio Signorini rifiutandosi di approvare la sua conferma nel direttorio proposta da Visco. Il M5s preparò anche un dossier contro di lui, con accuse ridicole tra le quali quella di una “simpatia giovanile a sinistra”. L’accusa, staliniana nel metodo, era anche falsa nel merito, dato che Signorini da ragazzo aveva militato nella Gioventù liberale (Pli). Quel braccio di ferro, che metteva in discussione Visco e l’autonomia della Banca d’Italia, lasciò Signorini per tre mesi a spasso dopo la scadenza del suo mandato e rischiò di produrre una paralisi istituzionale nel direttorio. Alla fine tutto si sbloccò con il passo indietro di Salvatore Rossi: fu nominato Fabio Panetta dg al suo posto, Signorini venne confermato e Daniele Franco entrò nel direttorio.

 

Come si vede, il profilo di Signorini è molto lontano dalla destra sociale, dal sovranismo e dal mondo di Giorgia Meloni. Ma, soprattutto dopo il passo indietro di Panetta che per il momento pare intenzionato a restare alla Bce, è una personalità che potrebbe fare al caso della leader di FdI. In primo luogo, perché ha le credenziali per rendere credibile la presunta svolta “europeista” della destra in versione draghiana. In secondo luogo sarebbe un nome nuovo, perché a differenza di altri che circolano in grado di rassicurare le istituzioni internazionali e i mercati – come quelli di Daniele Franco, Vittorio Grilli e Domenico Siniscalco – non è già stato ministro dell’Economia in altri governi (Draghi, Monti o Berlusconi). Infine, sebbene non di destra, sarebbe quantomeno un ministro “non di sinistra”: un liberale e non un liberal.

 

Ciò però implicherebbe un ridimensionamento delle promesse elettorali, anche perché dicono che Signorini sia dialogante ma non accondiscendente. Forse non è il ministro dell’Economia che la Meloni preferirebbe, ma è quello che le servirebbe.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali