Foto di Ludovic Marin, via LaPresse 

un manifesto politico e culturale

Macron, Draghi, Zelensky e l'orgoglio del patriottismo europeo

Claudio Cerasa

Non basta essere atlantisti per difendere fino in fondo gli ucraini. È necessario vedere il simbolo di una patria, l'Ucraina, che per proteggere se stessa considera l'adesione a una patria più grande: l'Europa

Agire insieme. Combattere i sogni imperiali. Opporsi al militarismo. Riscoprire il multilateralismo. Difendere la convivenza civile. Sostenere la democrazia liberale. Accogliere i rifugiati. Scommettere sulla cooperazione. Non arretrare di fronte alle violazioni dei diritti civili. Provare a risolvere i problemi complessi non solo con gli strumenti militari e con quelli economici ma anche con la formidabile arma della solidarietà. Le frasi che abbiamo riassunto all’inizio di questo articolo non sono concetti astratti o pensieri generici ma sono le parole usate alle Nazioni Unite, tra martedì e mercoledì, dal presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, e dal presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron.

 

Sono le parole di due atlantisti, di due europeisti, di due sostenitori della società aperta, e sono le parole schiette di due leader politici che nel corso di questi mesi hanno visto nella difesa dell’Ucraina, nella difesa dei confini di un paese sovrano attaccato da un dittatore sanguinario, qualcosa in più di un semplice sostegno a uno stato sotto assedio. Qualcosa che difficilmente, in queste settimane, avranno avuto modo di notare anche i partiti nazionalisti desiderosi di portare il proprio contributo alla difesa dell’Ucraina più a nome della Nato che a nome dell’Europa. È tutta lì, in fondo, la grandezza della resistenza ucraina ed è tutta lì, in fondo, la differenza tra chi vede nell’eroismo ucraino il simbolo estremo di un patriottismo nazionale desideroso di difendere i suoi confini e chi invece, di fronte alle parole di Zelensky, di fronte alle immagini dei massacri, di fronte alla controffensiva dell’Ucraina, di fronte agli europei che decidono eroicamente di unirsi alla difesa del popolo ucraino anche a costo di sacrificare la propria vita, come è accaduto a Benjamin Giorgio Galli, foreign fighter varesino di 27 anni morto pochi giorni fa in battaglia contro i russi, vedono qualcosa di più e vedono in modo plastico l’unione tra due parole spesso usate per essere messe l’una contro l’altra: patriottismo ed europeismo.

 

Ha detto ieri Emmanuel Macron, usando parole simili a quelle utilizzate prima di lui da Mario Draghi e dopo di lui da Volodymyr Zelensky, che l’unità dell’Unione europea, e dei suoi alleati, è stata determinante per offrire all’Ucraina il sostegno di cui aveva bisogno, per imporre costi durissimi alla Russia, e che l’unità dell’Unione europea sarà decisiva in futuro per mettere i vicini dell’Ucraina al riparo dalle rivendicazioni russe.

 

La guerra di aggressione, ha detto ancora Macron, ha risvegliato o rafforzato in molti paesi il desiderio di Europa, ha costretto molti paesi neutrali a rendersi conto che rifiutarsi di schierarsi in questa guerra significa essere complici del nuovo imperialismo di Mosca, e da questo punto di vista gli europeisti e atlantisti vedono nel futuro dell’Ucraina quello che gli atlantisti euroscettici non vogliono vedere. Il simbolo di una patria, l’Ucraina, che per proteggere se stessa, per proteggere i suoi confini, considera l’adesione a una patria più grande, quella europea, un valore non negoziabile, un orizzonte necessario, un obiettivo indispensabile per proteggere tutto quello che un paese in difficoltà non potrà proteggere per sempre da solo.

 

E dunque: i propri cittadini, la propria economia, la propria ricostruzione, il proprio benessere futuro. I sovranisti atlantisti, ogni riferimento a partiti realmente esistenti non è puramente casuale, osservano l’eroica resistenza dell’Ucraina con lo sguardo atlantista di chi considera prioritario difendere i confini di un paese dall’aggressione degli eredi del comunismo sovietico. Gli europeisti, invece, osservano l’Ucraina con lo sguardo unico di chi sa che attorno all’aiuto a un popolo, attorno alla difesa dei confini della democrazia liberale, c’è qualcosa di più. C’è un manifesto politico e culturale. C’è il patriottismo che nessun sovranista atlantista potrà mai sentire proprio senza tradire se stesso e suoi follower: è il patriottismo europeo, bellezza. 

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.