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Passeggiate romane

L'asticella di Letta. I numeri da considerare per prepararsi alla possibile successione

Bonaccini sembra il candidato più accreditato alla possibile successione del Pd. Gli altri nomi caldi sono Antonio Decaro, Dario Nardella e Andrea Orlando. Occhio però: dietro alla manovre per la leadership dem potrebbe esserci lo zampino di Giuseppe Conte

Manca meno di una settimana alle elezioni ma (i sondaggisti non se ne abbiano a male) il risultato, nonostante le molte rilevazioni che in questi giorni girano tra i partiti, per quel che riguarda il Pd non è ancora certo.

 

 Per le sorti di Enrico Letta un partito al 19 o un partito al 23 non rappresenta esattamente la stessa cosa. Eppure sembrano già essere cominciate le grandi manovre. Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia-Romagna, per esempio, appare un giorno sì e l’altro pure come il candidato più accreditato alla possibile successione a Letta. Per quanto il presidente della giunta regionale dell’Emilia-Romagna continui a spiegare che resterà al suo posto e che non ha in mente la segreteria, questa ipotesi continua a circolare. E non solo sui giornali. Anche tra i dem, dove qualcuno ha già preparato le possibili contromosse. Non è un caso infatti che di recente abbia iniziato a rimbalzare un tam tam che vorrebbe il sindaco di Bari Antonio Decaro o il primo cittadino di Firenze Dario Nardella come possibile candidato alla leadership del Partito democratico (anche Paola De Micheli sta preparando la sua piattaforma programmatica).

Sono nomi, i loro, che sono stati fatti circolare ad arte per arginare quello di Bonaccini che stava prendendo troppo piede. Eppure il presidente dell’Emilia-Romagna ha già spiegato in alcuni colloqui riservati che non ha affatto in animo di andare alla guerra con il segretario. Se successione ha da essere che sia concordata. E poi Bonaccini è abbastanza addentro alle dinamiche del Pd e non pensa affatto a farsi candidare solo da Base riformista. Ma siccome la tensione dentro il Pd si fa già sentire c’è chi ha pensato bene di portarsi avanti e di lanciare altre candidature per ostacolare il cammino di Bonaccini. Altro nome che viene fatto a fasi alterne per la futura segreteria del Pd è quello del ministro del Lavoro Andrea Orlando.

Tanto che l’esponente del governo Draghi ieri, a scanso di equivoci, ha dovuto precisare che “Letta è il punto di tenuta e di unità del Partito democratico”. Però tra i dem hanno guardato con un certo sospetto le sue sortite contro Stefano Bonaccini sul Jobs Act. Il presidente dell’Emilia-Romagna aveva difeso il provvedimento del governo Renzi e il ministro del Lavoro, seppure in modo pacato, ha avuto modo di riprenderlo più volte su questo argomento.

Dunque, il Pd, come spesso gli accade, si agita. Ma se Letta riuscisse a portare a casa un risultato migliore di quello delle elezioni del 2018, un risultato che vada sopra di qualche punto al 20, sarà difficile per i diversi contendenti venire allo scoperto e costringerlo a fare un passo indietro. Anche perché nessuno dei nomi che sono stati fatti finora, né Bonaccini, né Orlando, né Beppe Provenzano, può rimproverargli il tentativo di instaurare un rapporto privilegiato con Giuseppe Conte. Tutti e tre, infatti, adesso non escludono la possibilità di riaprire il dialogo con il Movimento 5 stelle dopo le elezioni.

Il più insidioso avversario del segretario del Partito democratico non è all’interno del Pd, ma all’esterno. E non si sta parlando di Matteo Renzi o di Carlo Calenda, che pure con Letta sono stati molto duri in campagna elettorale. No, si sta parlando di Conte. L’ex premier infatti ha detto pubblicamente che non esclude di poter tornare a parlare con il Pd, ma ha precisato che non lo farà finché il segretario sarà Enrico Letta. Che Conte abbia voluto così dare anche una mano a qualche amico che ha ancora tra i dem per tentare la scalata al Nazareno?