Foto LaPresse

la chiave per la fiducia internazionale

Perché passa dall'America il futuro di Meloni

Claudio Cerasa

Usare gli anglosassoni per non spaventare l’Europa. Gli Stati Uniti, più che l’Inghilterra, sono la chiave della post impresentabilità della leader di Fratelli d'Italia

Parlare di mondo anglosassone, oggi, senza parlare della regina Elisabetta può apparire fuori contesto, lontano dalla realtà, ma c’è una ragione ulteriore che, in queste ore, avvicina emotivamente il mondo anglosassone all’universo italiano e quella ragione ha a che fare con un futuro che giorno dopo giorno somiglia sempre di più al volto di Giorgia Meloni, la prossima possibile regina della politica italiana.

 

La questione è intrigante e scivolosa e riguarda un  problema con cui Meloni si ritroverà a fare i conti qualora dovesse vincere le elezioni: come combattere, a livello europeo, la diffidenza naturale che vi sarà, in alcune importanti cancellerie, verso una leadership che per quanto possa essere impegnata in una svolta moderata non può non essere definita come una leadership post fascista? Certo, ovvio, alcuni segnali, che abbiamo già descritto, possono aiutare a rassicurare ed è ovvio che far arrivare alle massime istituzioni italiane (leggi: Quirinale) e alle massime cancellerie europee (leggi: Francia e Germania) il messaggio che un governo di centrodestra a guida Meloni schiererà al ministero dell’Economia un tecnico molto simile a Fabio Panetta e non schiererà al ministero dell’Interno un ministro simile a Matteo Salvini è un messaggio che contribuisce ad allontanare il panico sul futuro dell’Italia (e chissà che Draghi non stia dando una mano per far arrivare questo messaggio fuori dai confini italiani).

 

Ma ciò che per Meloni risulterà importante, rispetto al suo futuro, avrà a che fare molto con la sua attitudine naturale a dialogare con la politica anglosassone e il tentativo che metterà in campo la leader di Fratelli d’Italia nelle prossime settimane sarà proprio questo: usare il suo rapporto con l’establishment politico di Inghilterra e Stati Uniti come una leva utile ad allontanare dalla sua traiettoria ogni marchio di impresentabilità. E dunque certo c’è il viaggio annunciato da Meloni a Londra, per incontrare Liz Truss, ma c’è anche un’altra idea raccolta da Meloni durante alcuni colloqui avuti nelle ultime settimane con uomini del mondo draghiano: iniziare a costruire ponti non solo con i repubblicani americani ma anche con i democratici, puntando sulla sorprendente simmetria che esiste oggi tra le idee di politica estera che ha il partito di Meloni e alcuni valori non negoziabili della politica estera democratica. E dunque: amore per l’atlantismo, odio per il putinismo, distanza dalla Cina, vicinanza a Taiwan. E’ l’America la chiave attraverso la quale Meloni può tentare, per il futuro, di conquistare la fiducia delle più scettiche cancellerie europee, perché per quanti voti possa prendere Meloni in Italia il suo partito, per i tedeschi, continuerà a essere un cugino alla lontana dell’AfD, per i francesi continuerà a essere un cugino alla lontana della Le Pen, per gli spagnoli continuerà a essere un cugino non alla lontana di Vox. E in fondo proprio i rapporti con l’America che Meloni vuole costruire, non solo con i repubblicani ma anche con i democratici, sono una delle ragioni che hanno spinto Meloni a essere più prudente di Matteo Salvini su due operazioni industriali importanti.

 

La prima è Ita. La seconda è Tim.

 

Sulla prima operazione ha un peso il fatto che ad aver avviato un negoziato in esclusiva con la ex Alitalia sia un consorzio formato da Certares (fondo americano) e Delta (compagnia aerea americana, alleata con Air France).

 

E sulla seconda operazione, su Tim, ha un peso il fatto che la vendita della rete da parte di Tim a Cdp potrebbe essere salutata con soddisfazione non solo da un fondo australiano apprezzato negli Stati Uniti di nome Macquarie (che in Italia già lavora con gli americani di Blackstone all’interno di Aspi, insieme con Cdp) ma anche da un altro fondo americano (Kkr) che potrebbe trovare spazio nella società che dovrebbe accogliere sotto la guida di Cdp la rete unica italiana. Ha un peso per una ragione semplice: fossero stati fondi francesi e tedeschi a immischiarsi negli affari economici italiani, Meloni avrebbe probabilmente fatto prevalere i suoi istinti sovranisti e avrebbe protestato a gran voce. Essendo invece i fondi in questioni vicini al mondo americano la volontà di essere percepita come non inaffidabile dagli Stati Uniti ha prevalso. Un indizio sul futuro. E sulla strada complicata che comunque andranno le cose Meloni dovrà percorrere per dimostrare ai suoi interlocutori internazionali, e soprattutto europei, di non essere la gemella di Matteo Salvini.

Di più su questi argomenti:
  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.