(foto Ansa)

Auguri ai liberali onesti, ma come sempre narcisi e minoritari

Giuliano Ferrara

Invece di fare una campagna contro l'ammucchiata meglio sarebbe riscoprire “l’unità laica delle forze”. Se non ci riuscite mettete mano alla pistola

Molte liste, molto onore. I liberali, specie in Italia, convertono il loro innato individualismo in tribalismo. Allo stato un raggruppamento va con il Pd, uno raccoglie le firme, un altro va da solo. Le tribù sono società tendenzialmente chiuse, si muovono secondo la eco o il brusio degli umori prevalenti, scartano per via delle affinità e delle idiosincrasie ululanti, oggi sono correnti di Twitter e decidono per ordalia televisiva, con noti ondeggiamenti. Va bene, pazienza, è un dato di cui tenere conto. D’altra parte si tratta spesso di persone intelligenti. Purtroppo questo stato caratteriale ha segnato sempre di sé la storia politica della Repubblica, confermando il minoritarismo di idee e proposte che per altri versi hanno accompagnato e segnato la modernizzazione e il riformismo, rimasti saldamente nelle mani di democristiani, comunisti e socialisti, universi in qualche caso viziati da bacchettonismo, sentimentalismo o totalitarismo, ma non tribali. Le correnti o il centralismo democratico sono stati formule organizzative e politiche spesso patologiche ma compatibili con una certa coesione identitaria e popolare, almeno finché è durata la stagione dei partiti politici

 

Marco Pannella nella sua politica universitaria e postuniversitaria aveva coniato uno slogan scioglilingua che sottilizzava sulla natura dell’aggregazione dei liberali: diceva di preferire “l’unità laica delle forze” alla celebrata “unità delle forze laiche”. Profetismo e referendarismo, bollati come sciamanesimo da quel talento della non-politica che è Massimo Teodori, furono il suo modo di sottrarsi, prima con successo e poi con sconfittismo vittimista e ripetitivo, alla gabbia del minoritarismo laico, liberale e radicale. Gli altri partiti di democrazia liberale, lamalfiani e liberali storici, avevano una politica delle alleanze che consentì loro di influire, da posizioni però feconde in certi casi e marginali sempre, sul degasperismo dopo il 18 aprile e sul centrosinistra. Qualche volta, come accadde con la lista Bonino in lontane elezioni europee, dove conta molto il voto di opinione, arraffano un 8 per cento che sembra la squisita prefigurazione di piaceri politici a venire, ma poi non sanno bene che farsene. Con Spadolini avevano vissuto una breve stagione di governo in prima persona tradita da un’altra caratteristica di questa bella gente, un tratto molto visibile nella maschera risorgimentale dell’ex direttore del Corriere ed estendibile ad altri, la vanità personale.

La psicologia diasporica dei liberali italiani è un famoso caso di studio. Riviste, giornali, fogli di combattimento, associazioni, gruppi di testimonianza, moderatismi riformisti, radicalismi intransigenti, dottrinarismi che inquinano le premesse del pragmatismo: questi elementi si inseguono incessantemente sulla strada dell’ognuno per sé e il Dio liberale per tutti. Il risultato è una buona reputazione, e non è avara nel tributarla l’opinione pubblica italiana che però sceglie il voto di appartenenza o di coalizione, inteso come voto utile. Ma se dovessi citare il caso di un terzetto di liberali realisti, influenti, che hanno attraversato passioni ideologie errori del Novecento, e che hanno fatto il paese nel suo meglio o almeno ci hanno provato, mi vengono in mente solo i nomi del democristiano Alcide De Gasperi, del comunista Giorgio Amendola e del socialista Bettino Craxi

Tre idealtipi di politici con le mani nella pasta liberale affondati nelle turbolenze della politica e dell’ideologia, nessuno dei quali ispirato dalla ricerca della buona reputazione, dell’idealismo, del coraggio, della coerenza, dell’intransigenza solitaria, eppure uomini di stato con idee riformiste e realizzazioni che durano. Era anche il mondo di un liberale oggi da considerare atipico, per quanto padre del liberalesimo, come Benedetto Croce, che ha passato la vita a predicare contro gli astratti furori moralistici ai quali contrapponeva le capacità tecniche del politico realista ed efficace. 

Comunque molti auguri al terzo polo, che forse promette una semplificazione minima imponendosi una cuginanza discorde ed effimera, e alla campagna contro l’ammucchiata, che è una battaglia di fiancheggiamento della destra arrembante, mai così vicina a una vittoria storica. Con un codicillo: quando sentite dire che non si fa politica contro qualcuno, che la ricerca della vittoria su un fronte avversario che avanza coalizzato e minaccia di occupare le istituzioni con idee e uomini piuttosto discutibili va subordinata alla coerenza e all’onore, ecco, potete rileggervi Max Weber e Carl Schmitt o, in mancanza di tempo e di voglia, mettete mano alla pistola. 

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.