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editoriali

Tutti i guai dell'agenda Camusso

Redazione

La candidatura dell’ex leader della Cgil col Pd non è un segno di riformismo

L’accordo tra Pd e Azione prevede l’impegno reciproco a non candidare, nei collegi uninominali, figure particolarmente divisive. Chissà, allora, come la prenderanno gli elettori calendiani, se troveranno sulla scheda il nome di Susanna Camusso. E chissà se la Camuso sarà candidata all’uninominale o in lista col Pd. Si capisce perfettamente che Enrico Letta abbia la necessità di coprirsi a sinistra, specialmente dopo che si è incrinato l’asse con Si e Verdi. Ma siamo sicuri che l’ex segretaria della Cgil sia il volto giusto per salvare capra e cavoli? Sotto la guida di Camusso, la Cgil si è caratterizzata per una costante guerriglia di retroguardia contro ogni proposito riformista: dalla lotta contro il Jobs Act alle critiche al decreto Dignità ritenuto troppo tiepido.

Anche nei confronti di Mario Draghi, Camusso non è stata tenera: appena venti giorni fa, parlando con Metropolis di Repubblica, dell’agenda sociale di Draghi diceva che “sono solo belle parole ma ancora non ci sono gli impegni e non è la prima volta che poi succede altro”. Della lettera Trichet-Draghi del 2011 ha detto che “le politiche prescritte erano disastrose”. Perfino sul green pass ha tenuto una posizione ambigua, dando un colpo al cerchio (“sono a favore dell’obbligo vaccinale”) e uno alla botte (ci vorrebbe “un’opera di persuasione senza il ricatto della punizione”). Eppure non mancano, anche tra le file del sindacato, figure coraggiose che hanno cercato di mettersi al passo coi tempi, come Marco Bentivogli, che ha lavorato per ottenere accordi tali da migliorare in concreto la condizione dei lavoratori. Tralasciando il fatto che anni addietro Camusso dichiarò di voler essere la prima leader della Cgil a non fare il salto in politica (capita a tanti di ripensarci), c’è un problema per il Pd di Letta se intende rappresentare il mondo del lavoro e portare avanti l’agenda Draghi attraverso chi ha fatto del sindacato un avamposto conservatore e, poi, ha avuto nei confronti del riformismo del premier un atteggiamento che eufemisticamente si può definire passivo-aggressivo.

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