Matteo Salvini in parlamento (Ansa)

il commento

Il problema della coalizione di destra è dove piazzare Salvini

Salvatore Merlo

Il leader della Lega vuole il Viminale mentre Giorgia Meloni affronta un interrogativo di primissima grandezza: è più difficile governare lui o l’Italia?

Al Viminale, lo sanno tutti, giocherebbe con i barchini dei migranti e i citofoni degli spacciatori. Un film già visto. Agli Esteri sarebbe un problema perché si dovrebbe riuscire a spiegare al mondo come mai il signor ministro fino a ieri se ne andava in giro per l’Europa con la maglietta di Putin addosso, tipo ragazza pon-pon dello zio Vlad. Alla Difesa non ne parliamo. Sarebbe una cosa alla Woody Allen, benché il surrealismo abbia un suo indubbio fascino: “Cari ucraini, mentre vi bombardano voi mettete fiori nei vostri cannoni”. Allora al ministero del Lavoro? Eh, no. Nemmeno lì può andare. Stai sicuro si metterebbe a fare il piccolo chimico con Quota cento, Quota quarantuno e legge Fornero. Tutto questo mentre a Bruxelles si riscrive il Patto di stabilità. In pratica cercherebbe di mandare gli italiani in pensione a cinquant’anni e senza contributi. Ovviamente solo via Twitter. Ma comunque niente da fare. Resta l’Economia. Ma lì è lui che non ci vuole andare, mica fesso. Non fosse altro perché tra inflazione e debito da quelle parti c’è da lavorare sul serio (e per di più bisogna anche saper fare di conto, altro che flat tax al 15 per cento). Insomma dove diamine lo piazziamo? Allo Sport? Ma non era già abbastanza complicato dover scovare i ministri competenti?

 

Ecco. Quanto scritto fin qua è grottesco, ma tutt’altro che irrealistico. Bisogna infatti proprio immaginarsela Giorgia Meloni, in queste ore, alle prese con un interrogativo esistenziale di primissima grandezza: governare Matteo Salvini può risultare più difficile che governare l’Italia? Fateci caso. Lui le chiede con insistenza di scegliere ora i membri del governo. Lei nemmeno gli risponde.

 

Matteo Salvini contrappone la rapidità schizzata della pallina del flipper alla cautela quasi maniacale, da secchiona, che Giorgia Meloni sta mettendo non solo nella ricerca dei tre o quattro ministri supertecnici di cui vuole circondarsi, ma persino nella compilazione delle sue liste elettorali. Nella scelta dei parlamentari. Li passa ai raggi X infatti. Al Senato lei sta facendo all’incirca l’analisi del sangue ai potenziali candidati che saranno selezionati entro il 22 agosto. Se potesse, li sottoporrebbe pure alla macchina della verità. Solo gente fidatissima, ché non si sa mai. Secondo un ragionamento che suona all’incirca così: faccio un governo stellare, ma se poi le cose vanno male e mi abbattono, almeno non perdo la truppa. L’esperienza insegna. Ecco. Questa è lei, che non ha ancora nemmeno vinto le elezioni ma già, accigliatissima, si è fatta spiegare da Mario Draghi cosa troverebbe nei cassetti di Palazzo Chigi. Si prepara. S’informa. Eccede persino.

 

E poi invece c’è lui, Salvini. Il compulsivo che tra un comizio e l’altro, in spiaggia, in bicicletta, col gelato o il lecca-lecca in mano fa capire (in pubblico) e conferma (in privato) di voler assolutamente tornare al ministero dell’Interno perché “è da lì che ho portato la Lega dal 17 per cento al 35 per cento. E se l’ho fatto una volta, posso farlo di nuovo”. Allora eccolo che twitta su tutti i casi di cronaca nera. Cerca i militanti della bile. Spiega che quando c’era lui queste cose non succedevano.

 

Infatti dice: “Io al Viminale? Punto in alto”. E ancora: “Io al Viminale? Vado dove vogliono gli italiani”. E sembra proprio Ciccio Ingrassia quando recitava il ruolo del picchiatello nel film “Amarcord” di Fellini. Saliva su un albero e urlava: voglio una donna. Lui invece vuole il Viminale, per continuare la campagna elettorale anche quando sarà finita. Per fare il Meloni della Meloni. La destra della destra. Pensa di poter risalire la china. Grattare consensi. Tornare ai fasti di un tempo. Dunque fa sapere a Giorgia che “dovremmo scegliere ora i membri del governo”. Ma lei, che intanto i ministri (i suoi) li sta scegliendo sul serio, gli oppone il silenzio. Un viso chiuso come un guscio di mandorla. Figurarsi se gli promette un ministero adesso. E poi: quale ministero? Quello dove lo metti, non sta. E dove lo metti ti pianta una grana. Al governo non ci va mica per governare. A lui ci penserà poi Mattarella. Sì, forse. Ci penseranno gli elettori con i freddi numeri che inchiodano la Lega alla sudditanza. Sì, forse. Ma se  non dovesse andare male alle elezioni... Ritorna così il dubbio esistenziale, sul serio: governare Matteo Salvini può risultare più difficile che governare l’Italia?

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.