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lo scenario

L'accordo Letta-Calenda mette in difficoltà i partiti di Renzi e Di Maio

Luca Roberto

Con Azione alleato dei dem, l'ex premier resta solo nel campo del terzo polo. Mentre l'esclusione degli ex esponenti del M5s isola la formazione del ministro degli Esteri. Per lui si apre la candidatura nel proporzionale con il Partito democratico. A sinistra Bonelli e Fratoianni chiedono un incontro al segretario Pd

A come sarebbe finita l'interlocuzione tra Enrico Letta, Carlo Calenda e Benedetto Della Vedova non hanno prestato orecchio solo i diretti interessati. In fondo, la costituzione di una certa coalizione porta con sé l'esclusione di altre strade percorribili. Così quest'oggi, all'annuncio che un accordo era stato trovato, ci sono state personalità all'interno della politica italiana che non hanno affatto tirato un sospiro di sollievo. Ché questa nuova alleanza, insomma, per loro rappresenta più un grattacapo che una soluzione.

È il caso degli esponenti della nuova formazione dimaiana "Impegno civico", nata sotto l'egida di Bruno Tabacci e presentata alla stampa soltanto ieri. Tra gli obiettivi c'era quello di riuscire, dopo aver dato prova di responsabilità e rispetto ossequioso dell'agenda Draghi, a rientrare nel campo largo lettiano, e quindi riuscire a strappare una serie di candidature strategiche in alcuni collegi uninominali considerati "blindati". Tutto questo è venuto meno con la sottoscrizione dell'accordo di oggi che mette nero su bianco un principio: e cioè che non potranno essere candidati all'uninominale gli ex esponenti di M5s e Forza Italia, oltre che ovviamente gli stessi tre leader di Pd, Azione e + Europa.

Una specie di doccia fredda per le speranze di rielezione di molti fuorisciti grillini, che contavano di essere inseriti nelle liste e adesso invece dovranno fare una insperata corsa solitaria. Anche considerando il dato di fatto dei sondaggi, tutt'altro che benevoli: la scommessa politica di Di Maio è accreditata all'1,7 per cento nelle intenzioni di voto (quando la soglia di sbarramento è fissata al 3 per cento). Il discorso cambia per il ministro degli Esteri e il sottosegretario Bruno Tabacci, a cui il Pd starebbe garantendo una candidatura in un collegio proporzionale in ragione di un "diritto di tribuna" che i dem si sono subito prodigati a mettere sul tavolo dopo la conferenza stampa congiunta di questo pomeriggio con i leader del fronte liberale (Letta oggi ha incontrato il ministro negli uffici della Farnesina). Fatto sta che in serata il gruppo di parlamentari di Impegno civico è chiamato a raccolta per fare un punto della situazione.

Di fronte allo sbarramento, la stessa analisi vale anche per Italia viva di Matteo Renzi. Che non a caso ha commentato in maniera piuttosto stizzita gli accadimenti di oggi. "Abbiamo voluto Draghi al governo, soli contro tutti. Oggi non ci alleiamo con chi ha votato contro Draghi. Prima della convenienza viene la Politica. Quello che gli altri definiscono solitudine, noi lo chiamiamo coraggio", ha scritto su Twitter l'ex presidente del Consiglio. A cui a ogni modo sia Calenda che Letta non hanno chiuso del tutto, perché "per il dialogo, le porte restano aperte a tutti".

Fatto sta che per il gruppo centrista, che fino alla fine aveva sperato di fare fronte comune con Azione, si prospetta una campagna elettorale condotta in proprio, senza alleati. Discorso almeno un poco diverso da quello dei partiti alla sinistra del Pd, come i Verdi e Sinistra italiana. Che hanno salutato il patto tra Letta e Calenda di oggi con una certa circospezione, ma non hanno escluso del tutto la possibilità di aderire a un fronte largo di centrosinistra. Domani i due segretari Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni si vedranno con Enrico Letta, in "un incontro per verificare se ci sono ancora le condizioni per un'alleanza elettorale". Entrambi hanno rispedito al mittente l'offerta di tribuna elettorale perché "la nostra proposta politica non cambia", per dirla con le parole di Fratoianni. Ma non è detto che domani il segretario dem non cerchi di coinvolgere queste formazioni quanto meno nella presentazione di liste proporzionali unitarie. Per convincerli potrebbe pur sempre dire loro: non fate la fine dei dimaniani e renziani.