La bicicletta progressista

Letta pronto a stanare gli orfani del M5s nel Pd. Tandem con Calenda e Di Maio

Carmelo Caruso

La strategia del segretario. Due gambe di supporto (Azione e Insieme per il futuro). All'uninominale i migliori della coalizione. Le richieste di Renzi e la partita delle deroghe dem

Roma. E dunque “si fa come dice Enrico” e ancora “ma quanto è bravo Enrico!”. Non è finita. Martedì, alla direzione del Pd, pure Letta mette in conto rigurgiti di “interlocuzioni pretermesse” con Giuseppe Conte. E si attende perfino che uno dei delegati  possa proporre ancora del sesso progressista con il M5s, del kamasutra, “alleanze tattiche”, “desistenze”. E’ tutta ferramenta ideologica che il segretario ha accatastato nella cantina della storia. Qualcuno nel Pd lo dice ancora ma sottovoce: “E però come governiamo bene nelle regioni con Conte”. Se Letta dovesse perdere, credeteci, saranno i primi a rimproverargli il divorzio con gli “sciagurati” del M5s. Perché allora si affrettano a fare sapere “si fa come dice Enrico?”. Per due motivi. Perché  Letta assembla le liste insieme a Marco Meloni, il suo  fidato consigliere, e perché il vento adesso è contro chi ha causato la caduta di Draghi. Lo schema di Letta è chiaro: è bicicletta progressista. Sella Pd, una ruota “d’azione” con Carlo Calenda ed Emma Bonino, e un’altra con Di Maio e tanto civismo. Nei collegi uninominali la strategia è candidare la figura migliore di tutta la coalizione.


Per una volta sarà quindi la direzione “a futura memoria” e ha fatto bene Letta a ripetere “la direzione deciderà”. Deciderà pure le modalità di deroghe dei parlamentari con oltre 15 anni di mandato e se, e come, i sindaci pd debbano candidarsi. Letta vuole che venga messo agli atti che, tutti, e a maggioranza, il 26 luglio stabilirono: “Mai più con il M5s”. E infatti non tutti lo vogliono. Francesco Boccia, il responsabile enti locali del Pd, il Franco Coppi dell’alleanza Pd-M5s, la scorsa settimana è andato in viaggio in Australia. Lo ha notato Annarita Digiorgio sul Giornale. Nicola Zingaretti si vuole candidare in Parlamento ma vuole farlo da presidente della regione Lazio in carica, in carica con il M5s. Dice quindi che “l’alleanza con il M5s nel Lazio non è in discussione” ma lo dice piano perché desidera che vengano candidati i suoi uomini: Stefano Vaccari, Cecilia D’Elia, Marco Miccoli. Deve fare attenzione quando lo dice.

 

L’anima socialista del partito ha invece secoli di astuzia. Usa gli aggettivi. Andrea Orlando spiega che “è chiaro che quello che è avvenuto definisce delle distanze”. Si riferisce alla scelta di Conte. Ha le sue ragioni. Vede socialista e teme che quella fiamma gli possa essere scippata da spergiuri. Se della coalizione farà parte Calenda ha bisogno di controbilanciare a sinistra. Ovviamente Orlando non dirà mai che bisogna trovare un’intesa con il M5s. Primo, perché non lo pensa. Per lui è solo un problema di copertura a sinistra del Pd. Secondo, non ha bisogno. C’è chi esplicita questa preoccupazioal posto suo. Sono Bersani, Fratoianni, Speranza, Scotto. C’è una pressione, come sanno fare a sinistra della sinistra, con il sinistrese, per fare desistere Letta.

 

Usano la lingua carcassa del Novecento perché il “punto è costruire una proposta programmatica”. Sono parole che, ad esempio, ha usato Scotto di Articolo Uno. Questi fuoriusciti sono curiosi davvero. Si faranno candidare dal Pd sotto il simbolo Democratici e progressisti, la grande casa di Letta che avrà tre pilastri “giustizia sociale, sviluppo sostenibile, diritti”, ma vogliono spiegare a Letta come si deve muovere, loro che le hanno sbagliate tutte. Un inciso lo merita Fratoianni. Verrà candidato mentre non lo sarà la senatrice Loredana De Petris che Fratoianni aveva cacciato da Sinistra italiana e sapete perché? Perché De Petris aveva votato la fiducia al governo Draghi. Se solo avessero il coraggio di dire che stanno trattando seggi e magari la smettessero di ripetere che si battono per le “istanze condivisibili del M5s”…

 

Anche Renzi sta trattando con il Pd. Calenda non lo vuole e Renzi non può più fare il centro con Mariastella Gelmini che, da oggi, è già in “azione” proprio con Calenda. Renzi, e lo raccontano i suoi vecchi compagni, quelli che lo conoscono da una vita, starebbe alzando il prezzo per avere sei seggi sicuri nella coalizione: uno per lui e poi Boschi, Bonifazi, Bellanova, Paita, Rosato.

 

Non si sa come ci riesca, ma al momento è Letta a moderare l’egotismo di tutti. Finora ce l’ha fatta. Le amministrative le ha vinte, la partita del Colle non l’ha sbagliato. Controlla, gli animal spirits del Pd, che sono tornati ad aleggiare. C’è pure chi pensa alla prossima partita che è quella per succedergli: chi tra Giuseppe Provenzano e Stefano Bonaccini? Ed è sempre Letta che deve ragionare con Calenda che non vuole né Renzi né Di Maio e che già parla di premiership che “deve andare a Draghi”. Che fa? Ha dimenticato che Draghi detesta essere tirato in mezzo? Ecco perché nel Pd c’è chi teme che Calenda in verità stia “cercando qualsiasi alibi per andare da solo”. Ed è sempre, e ancora, Letta a seguire i movimenti di Di Maio che lavora a una lista con Bruno Tabacci ma allargata anche ai sindaci civici di centrosinistra. Sarebbe questa la seconda ruota, quella di Di Maio (che verrà “salvaguardato” all’uninominale). C’è qualcuno che vuole essere Letta?

 

Deve vedersela anche con Franceschini che rilascia un’intervista l’anno. Avrebbe spiegato che bisogna costruire l’arca progressista perché il Pd, come partito, deve superare Giorgia Meloni, “perché primo partito possiamo pesare agli occhi di Mattarella”. La moglie di Franceschini, Michela Di Biase si candiderà e non è una notizia. La notizia sarà qualora lui lasciasse spazio alla moglie che ha la sua storia regionale e che dunque è sbagliato definire “moglie di”. Alla direzione del Pd, Letta dovrebbe finalmente spiegare che “patriottismo” è di sinistra e si contrappone al nazionalismo del centrodestra che è “sciatto e volgare”. Benedetta fretta! La vera forza di Letta è questa: per una volta il Pd non avrà tempo per perdere tempo.
 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio