Salvini depone i propositi di rottura. Ma non del tutto: "Decideremo a Pontida"

Valerio Valentini

Il leader della Lega, nell'assemblea coi deputati, asseconda la linea governista di Giorgetti. Che dice: "In un partito maturo è un bene se c'è pluralità di vedute". La rottura del tabù leninista del Carroccio. I contiani cercano sponde per eventuali crisi. Ma il vicesegretario Crippa: "Se il M5s stacca la spina, meglio per noi. Ci prendiamo un ministero in più". Tensioni in Sicilia e Lombardia

Rompere? Andrea Crippa se l’è sentito chiedere, dagli ambasciatori contiani in cerca di sostegno per il sabba di luglio. “Ma rompere cosa? Noi al governo dobbiamo restarci, altroché”, ha risposto, tutto d’un pezzo, il vicesegretario della Lega. “Se voi del M5s uscite, tanto meglio: ci prendiamo il ministero dell’Agricoltura, che per noi è un settore strategico”. Insomma l’inerzia degli umori sembra cambiata davvero, nel Carroccio: e le fregole  di chi predicava il salto nel buio, la replica del Papeete, si sono fatte di gran lunga minoritarie. Anche se poi con Matteo Salvini è giusto andarci cauti, se è vero che ieri, parlando ai suoi deputati, la via dell’azzardo non ha voluto chiuderla del tutto: “Se restare o uscire dal governo deciderà la nostra assemblea naturale, che è il popolo di Pontida”. 

L’oracolo del Sacro Pratone parlerà dunque il 17 e 18 settembre,  e non è detto che il responso sarà unico. Del resto anche Giancarlo Giorgetti, intervenendo durante l’assemblea mattutina a Montecitorio, ha spiegato che “un movimento politico maturo non ha paura di discutere, e se ci sono opinioni divergenti vuol dire che c’è confronto, non conflitto”. Che parrebbe banale, da dirsi, in qualsiasi partito: ma che nella congregazione leninista della lega sembra quasi una bestemmia. “Governare è difficile, e farlo in una maggioranza così anomale, e in un contesto internazionale così complicato, lo è ancor di più”, ha ammesso il ministro dello Sviluppo. “Ma la Meloni è all’apice del consenso che garantisce l’opposizione, dopodiché tutti devono fare i conti con la realtà”.

Applausi. Che dicono di un clima cambiato, nel gruppo. Perché se fino a qualche giorno fa Riccardo Molinari ammetteva, sconsolato, che “qui la maggior parte vuole rompere”, ieri mattina, proprio parlando delle battaglie ideologiche che pure giustificherebbero un atto clamoroso, come lo Ius Scholae e la cannabis, il presidente degli onorevoli ha spiegato che “possiamo fare molto rumore, ma i numeri sono quelli che sono”. Salvini ha esortato alla pugna folkloristica: “Se anche ci sarà da farsi espellere dell’Aula, non vi tirate indietro”. E già si lavora a striscioni e magliette iconiche. “Ma probabilmente, per quanto riguarda i margini per l’ostruzionismo,  i tempi della discussione saranno contingentati”, ha precisato Molinari.  
  Sarà un dramma? “Ma no, potremmo dire che è colpa della sinistra”, se la ride Dario Galli, già viceministro gialloverde allo Sviluppo. “Salvini avrebbe forse convenienze oggettive a uscire dalla maggioranza, specie se si pensa all’autunno che ci aspetta. Ma gli elettori con la bava alla bocca, ormai, li abbiamo già persi a favore di FdI: se ora facessimo atti irresponsabili, perderemmo anche chi ci chiede risposte pratiche, e non propaganda”. E se i segnali d’Aula valgono qualcosa, allora va registrato che Matteo Bianchi, leghista di Varese, atlantista convinto, decide di intervenire per condannare l’arresto di Ivan Fedotov, portiere di hockey del Cska di Mosca che aveva firmato con un squadra americana, accusato di renitenza alla leva da parte del regime di Putin. Non esattamente linea Capuano, ecco.   

E insomma, se la volontà di Salvini è una variabile che va registrata ora per ora, questa è la fase in cui il barometro vira al sereno: e infatti a intervenire a favore della causa governista, in assemblea, c’è non solo uno come Nicola Molteni, che te lo aspetti, ma perfino uno assai meno istituzionale come Alessandro Morelli, forse sentendosi in dovere di giustificare, a dispetto della retorica antidraghiana che pure  ha condiviso, il suo ruolo da viceministro dei Trasporti. Lasciando così che la parte del ribelle la reciti, in solitaria, il calabrese Domenico Furgiuele. Sintomi, forse, del malessere crescente al sud, come in quella Sicilia che ha visto ieri il capogruppo leghista uscente al consiglio comunale di Palermo esprimere pubblicamente tutto il suo risentimento verso i vertici nazionali del partito e chiedere a Salvini di  “azzerare tutto”. Alla vigilia delle regionali, figurarsi. Ma se il sud piange, il nord non ride. Come sa Fabrizio Cecchetti, segretario lumbàrd, costretto a convocare una riunione coi sindaci malmostosi della provincia bergamasca. Che il confronto sarà positivo, come dice Giorgetti: ma certo costa fatica. 
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.