La maionese della Lega impazzisce. Salvini prova a tenere insieme i pezzi

Valerio Valentini

Borghi torna alla propaganda No euro. I veneti preparano la campagna per l'autonomia, e in Lombardia l'ex ministro bossiano Castelli fa proseliti anche tra i segretari provinciali: "Basta col meridionalismo". Ma anche in Sicilia c'è subbuglio nel partito, con Lombardo che guarda ai centristi. E Giorgetti alza le mani: "Volete che vada contro Matteo? No, al massimo mi faccio da parte io"

Claudio Borghi, che non è tipo da perdersi d’animo, ha pensato bene di tornare alle origini: “Bisogna ricominciare a parlare di moneta, di euro, perché quella parte del nostro programma del 2018 è stata scartata troppo presto”. E così, d’intesa con la Lega Giovani, ha annunciato alla sua community di impenitenti nostalgici della lira che tornerà a fare convegni sul tema in giro per l’Italia. “Perché quando andammo al governo col M5s, non potevamo fare la guerra al mondo. Ma abbiamo potuto adottare delle misure che sarebbero tornate utili in futuro”. Le battaglie sull’oro di Banca d’Italia, i minibot: lui vuole ripartire da lì. E’ il segno che la speranza di avere ancora un futuro, Matteo Salvini la va cercando nel ritorno al passato. Solo che nella Lega ognuno rivendica il suo, di passato. 

Toni Da Re, europarlamentare veneto, deluso dall’andazzo generale al punto da subire provvedimenti disciplinari da Via Bellerio, e deluso però anche dall’indolenza di Luca Zaia al punto da rivolgersi  a Massimiliano Fedriga, ha già coniato il motto per la campagna che verrà lanciata a breve, con l’obiettivo del riscatto della Serenissima: “Ripartiamo da dove ci siamo fermati”.  Cioè, in sostanza, dall’autonomia negletta.

E ci sta, perché i veneti si sa come sono: “teste calde”, le definiva Bossi. E però c’è da dire che anche in Lombardia le pulsioni neopadane crescono. Al punto che Christian Invernizzi, deputato di Treviglio, uno che con Da Re ha condiviso le critiche alla linea boh vax di Salvini, ha addirittura preso la tessera di “Autonomia e Libertà”, il movimento fondato da Roberto Castelli. Ed essendo Invernizzi il referente del Carroccio nella provincia di Bergamo, la cosa è destinata a produrre un certo scalpore. “Evidentemente avrà riconosciuto la bontà delle nostre istanze”, se la ride il fu Guardasigilli. Che sarebbe, secondo le indiscrezioni del Transatlantico, anche l’ispiratore di una lettera con cui una cinquantina di amministratori e militanti lumbàrd hanno criticato formalmente la linea salviniana. Lui si schermisce, dice che quel documento non lo ha “né visto né di certo concepito”. Ma non nega che ha riattivato i vecchi contatti: e infatti si porta a cena, spesso e volentieri, consiglieri regionali e assessori comunali della Lombardia, e anche qualche parlamentare scontento. E a loro parla di Miglio, del “modello bavarese che aveva in mente l’Umberto”, illumina l’inganno del Pnrr, “che è una enorme cassa del Mezzogiorno”.

E certo tutto serve, tranne che il recupero dell’armamentario antiterronico, per fomentare le ire dei leghisti del Sud. Claudio Durigon è in quota “sfiduciati”, dice lui: deluso per quello che  reputa un errore strategico del partito, e cioè il disinteressarsi alla causa delle regionali del Lazio. Ma è ancora più giù, che il malcontento ribolle. Perché in Sicilia i democristiani vicini a Raffaele Lombardo, che per un po’ è stato il mentore di Salvini sull’isola, si sono fatti i conti, e hanno capito che i seggi già assegnati ai nuovi portatori di preferenze reclutati dal Carroccio per la prossima Assemblea regionale  sono già parecchi: va tutelato Nino Germanà, e con lui Valeria Sudano e Nino Minardo, tutti troppo poco sicuri della riconferma in Parlamento per non volere una garanzia a Palazzo d’Orleans. E allora i lombardiani guardano altrove, meditano addirittura la candidatura al centro dell’ex assessore alla Sanità Massimo Russo, con tutto quel che ne conseguirebbe.

E’ il segno di un mosaico che perde pezzi, di una maionese che alla lunga impazzisce: ché il tocco magico del leader in grado di conciliare l’inconciliabile, tenere insieme ambizioni e progetti diversi, perfino contrastanti tra loro, tutto sotto l’ombra rassicurante del suo solo nome e di una prospettiva di successo – Salvini Premier – quel tocco è ormai svanito. Al punto che c’è pure chi, tra i riottosi, chiama Giancarlo Giorgetti per chiedergli un segnale che inauguri le ostilità, l’autorizzazione ad aprire il fuoco. “Ma da me cosa volete, che mi metta ad andare contro Matteo? Che mi candidi a segretario, che inizi ad animare la fronda?”. Non è nelle corde del ministro dello Sviluppo. “Sapete che non l’ho mai fatto. Io al massimo, se sono di troppo, mi faccio da parte e torno a Cazzago a pescare”. E anche se il lago di Varese è stato di nuovo reso balneabile, e i turisti spaventano i pesci e dunque complicano il mercato ittico locale, la ricetta già c’è: “Devo tornare a cucinare il risotto col pesce persico. Una squisitezza”.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.