Il caso

Fra Conte e Draghi grana sulla fiducia al dl-Aiuti. Nel M5s volano i falchi: usciamo

Simone Canettieri

Slitta l'incontro rinviato a mercoledì. Ma intanto i grillini spingono per non blindare in Parlamento il decreto che contiene l'inceneritore. Al Senato l'ex premier non regge le truppe

“La gestiamo”. Giuseppe Conte alla fine non ha più incontrato Mario Draghi. I due si vedranno mercoledì, quando il premier sarà ritornato dal vertice di Ankara con il presidente Recep Tayyip Erdogan. Prima, cioè oggi, si capirà se il governo porrà la fiducia sul decreto Aiuti, che in consiglio dei ministri riscosse l’astensione del M5s, di cui allora faceva parte anche Luigi Di Maio. In mezzo a 14 miliardi di euro per aziende e cittadini alle prese con il caro bollette, i grillini si misero di traverso per la presenza di un articolo, fra le pieghe del dl, sul termovalorizzatore a Roma. Conte all’epoca tuonò: “Ora ci asteniamo, ma il governo non metta la fiducia”. Ieri, dopo settimane di guerriglia contro Palazzo Chigi, il capo del M5s davanti all’evenienza della fiducia ha confessato: “La gestiamo”. Che significa? 

Per i casi della politica il ministro per i Rapporti con il Parlamento è il grillino Federico D’Incà, avvistato a fare la spola più volte durante la giornata del grande incontro rinviato fra la sede del M5s e le Camere. Fino a ieri i fedelissimi di Conte parlavano di “trattativa aperta” fra loro e Draghi per non mettere la fiducia. Per ottenere insomma almeno un segnale di apertura da Palazzo Chigi.

Il timore che  l’irrigidimento possa portare a un incidente era messo sul piatto un po’ per realismo, un po’ per drammatizzare. Ipotesi, però, al quanto remota. Per questione di tempo (il dl va convertito entro il 16 luglio) e rapporti non proprio eccellenti all’interno della maggioranza. Ecco dunque D’Incà diviso fra due fuochi: da una parte Draghi, il suo presidente, dall’altra Conte, il suo leader. Dal governo spiegavano però che al massimo domani si dovrebbe arrivare alla fiducia.

D’altronde i precedenti aiuterebbero questa pratica: anche la Lega per i provvedimenti legati al Covid e al green pass si è astenuta in Cdm e poi alla Camera ha fatto la stessa cosa sul singolo provvedimento contestato, confermando allo stesso tempo con un voto favorevole all’esecutivo. Al Senato, però, il voto non si può scindere e quindi “Dio vedrà e provvederà”, spiegano dalle parti del M5s. Di sicuro, come ha avuto modo di dire Beppe Grillo prima di scomparire nel nulla, “non si può fare cadere un esecutivo per un caz.. di inceneritore a Roma”.

Bisogna attaccarsi a queste tecniche parlamentari perché alla fine il lunedì del sospirato faccia a faccia fra i due duellanti – il premier e il suo predecessore – si è risolto con un rinvio. La tragedia successa sulla Marmolada ha sconvolto l’agenda di Palazzo Chigi con Draghi subito partito verso i luoghi della sciagura “per rendermi conto di persona”.

Il Consiglio dei ministri convocato in serata per decretare lo stato d’emergenza delle zone colpite dallo scioglimento del ghiacciaio più le regioni alle prese con la siccità ha fatto il resto. Se ne riparlerà mercoledì. Prima Erdogan, poi Conte.

E pensare che tutto era pronto: il capo dei grillini aveva già una cartellina di sette pagine piene di ultimatum (reddito di cittadinanza, bonus 110, stop alle armi all’Ucraina, no all’inceneritore di Roma). Addirittura aveva anche convocato il Consiglio nazionale del partito per farsi dare mandato pieno per trattare con forza. Ma alla fine tutto è saltato. E soprattutto in Senato le spinte per cercare di arrivare a uno strappo sono tangibili. E non solo perché uno falco come Gianluca Castaldi ieri mattina si era svegliato invocando un bel “carpe diem” di Conte. Cogli l’attimo: andiamocene! Una temperatura così alta da far preoccupare anche il Pd, specie quello che siede fra gli scranni di Palazzo Madama, composto da pura materia anti-grillina.  Prima, con la presenza di Luigi Di Maio c’era all’interno del M5s una sorta di bilanciamento con Conte che alla fine era costretto a mediare fra due posizioni opposte. Ora, dopo la scissione e i veleni dell’affaire Grillo-De Masi-Draghi con tanto di messaggi che ancora devono essere esibiti, l’ex premier rischia di farsi spingere anche solo per forza d’inerzia verso l’addio al governo. Le colombe sono poche. E la fiducia sul dl Aiuti sarà il primo test, atteso per mercoledì. Il giorno del faccia a faccia fra il premier e il suo predecessore.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.