Le città rafforzano l'agenda Draghi

Claudio Cerasa

Meno fregnacce, più Pnrr. La stragrande maggioranza dei sindaci eletti al primo turno chiede ai politici di non disperdere il modello Draghi. Il futuro del campo magnetico, il voto e un appello trasversale che arriva dalle città

C’è una caratteristica interessante che accomuna in modo sorprendente quasi tutti i dodici sindaci eletti domenica al primo turno delle amministrative. Una caratteristica che non riguarda la sommatoria dei voti di lista, le geometrie delle coalizioni, le percentuali dei partiti ma che riguarda un dato di lungo termine che ha a che fare con quello che sembra essere il destino necessario del nostro paese: trasformare il campo magn etico attivato da Mario Draghi nella vera spina dorsale dell’Italia del futuro.

 

Il tema è sempre quello ed è un tema che visto dalla prospettiva speciale delle città risuona con tutta la sua forza: come evitare che il pragmatismo di governo messo in campo da Draghi sui temi dell’Europa, delle riforme, del Pnrr, dell’attrattività dell’Italia, dell’affidabilità del paese possa essere una parentesi che si chiude rapidamente. Si dirà: e che c’entra Draghi con le amministrative? E come è possibile trovare una traccia di draghismo in una tornata elettorale che ha visto come principale protagonista l’unico partito che si trova fuori dal governo? La risposta a queste domande la si trova nei profili, nelle dichiarazioni, nei modelli politici suggeriti in questi mesi da alcuni dei sindaci eletti al primo turno. E se si ha la pazienza di mettere insieme alcuni puntini si capirà con chiarezza in che senso gran parte dei sindaci rieletti domenica considera l’agenda Draghi quella giusta da seguire per accompagnare la crescita e il benessere delle proprie città.

 

Lo ha detto con chiarezza in questi mesi il primo cittadino di Genova Marco Bucci, sindaco di centrodestra appena riconfermato, che in più occasioni ha detto che la sua Genova potrà rinascere grazie agli impegni sottoscritti dal governo sul Pnrr. Lo ha detto con altrettanta chiarezza un altro sindaco di centrodestra, un sindaco nuovo, il sindaco di Palermo, il professor Roberto Lagalla, che in tempi non sospetti, nel 2021, disse che “l’incarico conferito a Mario Draghi restituisce credibilità istituzionale al paese e pone la politica di fronte alle proprie responsabilità”. Lo ha detto, mesi fa, anche Sergio Giordani, il sindaco di Padova, del centrosinistra, appena rieletto, che in più occasioni ha elogiato il governo “per il suo grande lavoro”. Lo ha detto, in altre occasioni, anche il rieletto sindaco Pierluigi Biondi, sindaco di centrodestra, dell’Aquila, che più volte ha avuto modo di elogiare “la credibilità del presidente Draghi”.

 

E lo stesso hanno fatto altri sindaci. Sindaci come Maurizio Rasero, di Asti, del centrodestra, riconfermato, che un anno fa ha ammesso di voler gestire la crisi economica che ha colpito anche la sua città utilizzando “il modello Draghi”. E lo stesso ha fatto mesi fa il sindaco della Spezia, di centrodestra, anche lui al secondo mandato, che prima ancora che arrivasse Draghi si era augurato che l’Italia potesse essere guidata da “uno come Draghi, capace di trattare con credibilità con l’Europa”. Le dichiarazioni valgono quello che valgono, certo, ma il filo conduttore c’è, e riguarda la sostanza più che la forma: la priorità dell’Italia del futuro è la crescita, la creazione di occupazione, la capacità di essere affidabile, la necessità di essere credibile, l’abilità nell’utilizzare i soldi europei per portare avanti progetti concreti, il dovere di spingere il governo verso un efficientamento dei suoi processi decisionali.

 

E in questo senso, il campo magnetico creato da Draghi – campo fatto di impegni, di vincoli, di posizionamento, di alleanze, di rapporti con l’Europa, di piani di ripresa e di resilienza – è una garanzia formidabile per provare a salvare l’Italia dall’opportunismo autolesionista dei professionisti dell’irresponsabilità. Non si tratta, come ha suggerito sabato al Foglio il ministro Renato Brunetta, di augurarsi che l’Italia possa avere altri cinque anni di Mario Draghi anche dopo questa legislatura, scenario da sballo che il caos politico in verità potrebbe agevolare. Si tratta, piuttosto, di mettere in campo quello che sarà il vero whatever it takes del futuro: spingere la politica ad agire senza ambiguità sugli impegni non negoziabili assunti dall’Italia con i suoi partner europei per sfruttare con decisione tutte le potenzialità offerte dal campo magnetico costruito dall’attuale presidente del Consiglio – europeismo solido, atlantismo convinto, riformismo indotto dal percorso avviato con il Pnrr – per responsabilizzare l’Italia del futuro. L’Italia del 2023, in fondo, passa anche da qui.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.