Il salario minimo è il nuovo ddl Zan di Letta&Conte

Valerio Valentini

Ce lo chiede l'Europa? Non è vero. Il grande imbroglio di Pd e M5s, che pretendono di fare ora che governano con la destra ciò che non sono riusciti a fare quando governano da soli. Le mosse elettorali del Nazareno, e quelle che invece potrebbero essere utili, al di là degli slogan

Il paradosso, a volerlo ridurre alla sua brutalità politica, sta rinchiuso in quella frase che circola a Palazzo Chigi, dove si chiedono perché mai Pd e M5s pretendono di fare adesso – adesso che governano con la destra – ciò che non riuscirono a fare quando al governo – nel governo che si pretendeva “quello più a sinistra da decenni” – stavano da soli. Evidentemente non erano presenti all’ultima direzione del Pd, il 17 maggio scorso. Altrimenti forse una risposta se la darebbero facilmente. Perché la viceministra dello Sviluppo Anna Ascani lo disse chiaramente, e come lei fu esplicito anche il vicesegretario Peppe Provenzano: serve un tema che unisca “le forze progressiste”, invero alquanto divise tra loro, in vista delle amministrative, e che le differenzi da Lega e Forza Italia, con cui pure stanno in maggioranza assieme. E allora, ecco la trovata: il salario minimo. La nuova “battaglia di civiltà”. Il nuovo ddl Zan.

Non che sia nuova, la trovata. Anzi, la proposta di un salario minimo stava  nei programmi elettorali di Pd e M5s nel 2018, e fu  incluso poi dai grillini nel  contratto di governo gialloverde. Il proposito rimase solo sulla carta. Ma anche su quello – sull’inconcludenza – alla fine si riuscì a fare polemica. Di Maio, nel marzo del 2019, rimproverò a Zingaretti di essere arrivato tardi sul salario minimo: “La nostra senatrice Nunzia Catalfo ha depositato una proposta il 12 luglio 2018”, disse l’allora leader grillino. “In ritardo siete voi:  il nostro senatore Mauro Laus l’ha depositata il 3 maggio 2018”, gli rispose l’allora leader del Pd. E insomma quando poi si ritrovarono al governo insieme, parve scontato che si sarebbe finalmente varato il salario minimo. Ma  in un anno e mezzo di BisConte, Pd e M5s non riuscirono a mettersi d’accordo. Il nodo stava nel fatto che la proposta grillina di fatto aggirava la contrattazione collettiva fissando ex ante una soglia (9 euro effettivi di retribuzione) eccessiva, mentre il Pd – tramite Tommaso Nannicini – rimandava a una commissione tecnica il compito di individuare le soglie, salvaguardando il ruolo dei sindacati. Non se ne fece nulla.

Ora, si dice, “ce lo chiede l’Europa”. E però, a ben vedere, la tanto declamata direttiva di Bruxelles non impone affatto all’Italia di adottare un salario minimo universale.  Nel documento – che verrà licenziato nelle prossime ore – si ribadisce, è vero, “il diritto di tutti i lavoratori a un’equa retribuzione”, ma non ci si sbilancia sull’indicare la via da seguire: “L’obiettivo dell’adeguatezza dei salari è perseguito con mezzi diversi, a seconda che la tutela garantita dal salario minimo sia fornita da salari minimi legali, sia fornita esclusivamente mediante la contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari o attraverso una combinazione di questi due approcci”. L’Italia ha appunto una forte tradizione di contrattazione collettiva. E cosa raccomanda, in questi casi, l’Europa? “Negli Stati membri in cui i salari si basano esclusivamente sulla contrattazione collettiva, la promozione della contrattazione collettiva costituisce lo strumento per migliorare la tutela garantita dal salario minimo, in quanto una più elevata copertura della contrattazione collettiva serve a promuovere salari minimi adeguati”. Il gruppo di lavoro del Consiglio europeo, peraltro, a cui hanno partecipato i ministri delegati (per l’Italia, Andrea Orlando), ci ha tenuto a rafforzare questo passaggio, che nelle conclusioni della Commissione era invece più sfumato. 

E dunque, che fare? Il M5s – sponda Di Maio – sta elaborando ora, non a caso, una proposta che di fatto supera l’oltranzismo della Catalfo, con un “patto sociale” che prevede di stanziare circa 5 miliardi per la riduzione del cuneo fiscale, consentendo però che a usufruire di questa agevolazione siano solo i datori che adeguano i salari erogati a delle soglie minime indicate per legge.  Si vedrà.

Nel frattempo, ci sarebbe una legge che Pd e M5s potrebbero proporre, e che con molta più fatica potrebbe essere bocciata dal centrodestra. Ed è quella sulla rappresentanza sindacale: iniziativa propedeutica, peraltro, a qualsiasi seria ipotesi di salario minimo, visto che consentirebbe di liquidare la gran mole di contratti pirata promossi spesso da sindacati semiclandestini e associazioni datoriali fatiscenti. E una mossa simile stanerebbe politicamente anche chi, come il ministro della Pa Renato Brunetta, ha sempre condannato questa forma di dumping salariale. 

Se non lo si fa, e ci si incaponisce su una proposta che al momento non ha alcuna consistenza reale, e nessun margine politico per essere approvata in Parlamento, diventa forte la sensazione – tanto più che ci si trova alla viglia di una importante scadenza elettorale – che l’intera iniziativa (“Salario minimo subito!”) assomigli un po’ a quel ddl Zan portato avanti con ferrea certezza di fallimento, ma con la convinzione che perdere nobilmente la battaglia valesse comunque ad accreditarsi presso il proprio elettorato di riferimento.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.