Il Cdm

Il governo approva le linee guida Rai "antisbraco". Meno stronzate e costi razionati. È l'ora di Fuortes

Carmelo Caruso

Passano gli atti di indirizzo per cambiare la tv di stato. Regole giornalistiche anche per i programmi di infotainment. In Rai è corsa per accreditarsi a Palazzo Chigi

 E se “fusse che fusse questa la vorta bbona”, la volta di una Rai senza pensatori del peto, senza ladri di quadri e spacciatori di croste? Dunque, come Nino Manfredi, che era il barista di Ceccano,  anche il governo spera che sia questa la “vorta bbona”, per arrivare a  questo faticosissimo “contratto di servizio 2023-2028”, che non è affatto il foglio di espulsione dei conduttori sbandati, ma  la presa d’atto che si può, e  si deve, immaginare la nuova televisione. La nuova è quella che non mette la mano sul sedere della telecamera e che non ha bisogno di dire, come lo scrittore Mauro Corona, “la farei ridere anche in certe pratiche…”. Passano quindi in Cdm gli “atti di indirizzo”, la “carta verde antisbraco”, la tazza di alloro contro le flatulenze del talk. L’amministratore delegato della Rai deve ora dimostrare che la sua volontà è “Fuortes”.


Per carità nessuno crede che la Rai possa davvero cambiare, tantomeno per opera di un governo, ma almeno, da domani, torna a essere un problema industriale e di modernità, di costi ed efficienza come chiede il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, come pretende Mario Draghi. E infatti, e finalmente, vengono approvati in Cdm questi atti di indirizzo, quelli che il Foglio aveva anticipato, e che hanno subìto ulteriori modifiche. Si allarga il “bando alla stronzata” anche ai programmi di infotainment che devono “attenersi al trattamento dei contenuti, ai principi di competenza, imparzialità e responsabilità nel far conoscere al pubblico idee e informazioni”. E’ in pratica l’autovelox per rallentare la stupidata che corre veloce  e che ha tanto spaventato il “Cartabianca Pen Club”, l’associazione degli amici del programma di Rai 3.

 

C’è da scommettere che saranno gli stessi a scrivere di una visita di Bruno Vespa (che c’è stata ieri a Palazzo Chigi) e che la faranno passare come un “patto” o chissà quale altra nefandezza, una trattativa tra i funzionari di governo e “Porta a Porta”, la trattativa Chigi-Vespa. La visita non ha nulla a che vedere con Draghi, non c’entra nulla con la televisione di stato, ma offre l’occasione per parlare di un altro fenomeno Rai.  Vespa è un altro che fa un programma che rischia l’odore di naftalina. Può ricordare le coperte della nonna lasciate nel baule. Ovviamente lo fa con sapienza, ed essendo un campione del saper stare al mondo, e soprattutto in Rai, quando è in difficoltà, quando annusa il pericolo,  Vespa, cerca la grande intervista, il colpo giornalistico.

 

Ebbene, prima della probabile manipolazione, e non certo per difendere Vespa, o il governo, è giusto raccontare, come dicono  a Viale Mazzini, che “tutti i giornalisti che contano, in queste ore, tra questi anche Bianca Berlinguer, stanno provando a farsi ricevere a Palazzo Chigi, a mostrare che entrano da quel portone”.

 

Era solo un lungo inciso ma che ben si collega all’altra grande promessa contenuta in questo documento di indirizzo. E’ la promessa “di garantire un’informazione obiettiva, veritiera, pluralista e completa, in particolare attraverso il contrasto alla disinformazione”. Restano, come avevamo anticipato, tra  le priorità, “la promozione dei valori culturali e civili dell’Italia e dell’Unione europea” (come sarebbe stato bello mettere anche la Nato…) e ancora, l’impegno a “diffondere e incoraggiare lo sport e gli stili di vita sani”.

 

Entrano nel testo finale le richieste del ministro Andrea Orlando di inserire “il lavoro” e di ragionarci intorno con fiction che vadano oltre medici e avvocati. E quindi chi può dirlo che non “fusse che fusse questa la vorta bbona” di sorridere con le partite Iva, le sit-com degli spiantati, degli “smetto quando voglio”. Il ministro Stefano Patuanelli ha chiesto invece di promuovere “dieta mediterranea e industria agroalimentare”. La ministra Stefani di occuparsi sempre, e sempre più, di “inclusione e disabilità”. Chi può mai dire che non sono idee di buon senso, ma  bastano? Vanno bene tutti questi precetti, ma il vero successo sarebbe, come si augura il ministro dello Sviluppo economico, una Rai capace di “introdurre criteri di misurazione degli obblighi” che consentano “di verificare il rispetto del contratto”.

 

Sarebbe insomma un successo se la Rai riuscisse a contenere le spese e non trattasse ogni trasferta  come la difesa della acciaieria Azovstal a Mariupol. Non è infatti  il governo che deve dimostrare di cambiare la Rai, ma l’uomo che ha scelto il governo a mostrare che la Rai è modificabile. Anche Fuortes, che è l’ad, dovrebbe sapere che non è Palazzo Chigi che vuole sostituirlo ma il corpo Rai che cerca di superarlo. Oltre le linee guida del governo, Fuortes,  si inventi le sue linee. Chieda ai suoi giornalisti, autori, un’idea originale, non diciamo al giorno, ma una volta a settimana. Faccia una battaglia per istituire il “riscatto di stipendio”. Per ogni mancata idea una discesa di carriera. Con una mossa sola due risultati possibili: costi razionati e programmi sempre nuovi.


 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio