l'intervista

"Una guerra per procura? Sì, noi ucraini combattiamo anche per voi europei". Parla il consigliere di Zelensky

Valerio Valentini

"La Confederazione europea proposta da Macron? Appare vaga, ma se è la sola via per entrare nell'Ue, percorriamola". Il risveglio nella Kyiv del 24 febbraio, le bugie di Putin, le condizioni minime per la pace. L'intervista a Oleksander Merezhko, presidente della commissione Esteri del Parlamento ucraino

La contrapposizione del mondo vista da una terra di mezzo. “Di là Putin con la sua parata assurda. Di là, la nuova Europa evocata da Macron a Strasburgo”. Tutto in poche ore. Un 9 maggio sospeso, per l’Ucraina che sta sulla faglia. “Noi in verità la nostra scelta l’abbiamo fatta, ed è proprio per questo che Mosca vuole annientarci. E dunque speriamo che l’Europa non ci deluda”. Parla senza concessioni alla cortesia di prammatica, Oleksander Merezhko. “Ho capito che funziona meglio la chiarezza”, scherza. Lo ha capito, questo parlamentare ucraino cinquantunenne, presidente della commissione Esteri della Rada, compagno di partito e amico fidato di Volodymyr Zelensky, nel corso degli incontri istituzionali avuti con le varie delegazioni di governo europeo. “Mi sono stati utili per comprendere che l’Europa è un insieme di posizioni variegate”, dice. “Ma resta comunque il futuro che noi vogliamo vivere, la nostra prospettiva di prosperità e sicurezza”. E dunque questa proposta della Confederazione lanciata da Macron, vi convince? “Da studioso di diritto internazionale, la vedo come qualcosa di assai vago e instabile. Resto convinto che Bruxelles potrebbe assicurarci un ingresso nell’Unione nel giro di un paio d’anni. Ma è comunque un passo in direzione della meta: e dunque, se questo è il sentiero segnato, percorriamolo”.

Un’Europa variegata, si diceva. “La Polonia e i paesi baltici sono gli unici che comprendono le nostre paure”, dice il deputato ucraino Merezhko. “Sanno che se cade Kyiv, loro saranno i prossimi”. Sul fronte opposto? “L’Ungheria, non c’è dubbio”. E l’Italia? “Da anni consideravamo il vostro paese come uno dei più importanti alleati di Mosca. Sappiamo che Berlusconi era un amico stretto di Putin. E poi Salvini, la sua passione per il Cremlino. Forse l’orrore di Bucha, di Irpin, di Mariupol, è valso a fare aprire gli occhi su chi sia Putin davvero”. E ora? “Le parole del presidente Draghi sul nostro ingresso in Ue sono state molto importanti.  Ma il nucleo dell’Europa resta l’asse franco-tedesco. E devo dire che spesso, sia la Francia sia la Germania, danno l’impressione di considerarci quasi un fastidio: se ci arrendessimo subito, loro potrebbero tornare a fare affari con Mosca come se nulla fosse”.

E però il sostegno non è mancato. “E di questo saremmo per sempre grati a tutti gli europei, oltreché ad America e Regno Unito. Ma spesso ci sembra che non si comprenda fino in fondo il senso della guerra che noi stiamo combattendo”, dice Merezhko, che confessa di essere stato uno degli increduli. “Pensavo fosse impensabile, un’invasione. Non credevo potesse succedere, finché non è successo”. E poi? “E poi la mattina del 24 febbraio sono stato svegliato dal rumore delle bombe. Pochi minuti dopo, un allarme d’emergenza sul mio smartphone mi convocava in Parlamento. Si può dire che da allora, dalla Rada non sono mai uscito”.

C’è chi dice che combattiate una guerra per procura. “E forse è vero. Nel senso che a volte ci sembra di combattere in difesa di quei valori di libertà e democrazia che per noi rappresentano il cuore del sogno europeo. Combattiamo anche per voi, forse”.

E per la pace, s’intravede una via? “Prima serve un cessate il fuoco da parte russa. Quale credibilità può avere Putin, del resto? L’Europa si è fidata delle sue promesse fino al 23 febbraio. Ora come possiamo negoziare davvero, se non dopo una fine delle ostilità? Smettano di bombardarci, liberino le nostre città, e a quel punto si potrà discutere. Sapendo che non c’è alcuno spazio, né costituzionale, né politico, perché noi possiamo rinunciare alla nostra sovranità e alla nostra integrità territoriale”. E poi? “E poi si potrà discutere di concedere uno statuto speciale alle repubbliche di Donetsk e Luhansk, e al contempo trovando formule opportune che garantiscano al nostro paese sicurezza militare attraverso intese coi paesi Nato e con l’Ue”. Ma visto da lì, da un Parlamento che è quasi un bunker, “quel momento pare ancora lontano, purtroppo”.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.