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Il racconto

Per Letta, Conte non esiste: "Non è un problema". E Boccia: "Ognuno deve campa'"

Simone Canettieri

I vertici Pd dissimulano il fastidio per l'attivismo del capo M5s. La linea è: "Nessuna polemica con i grillini, tanto non crescono nei sondaggi"

Qui non si parla di Conte. E’ il cartello  che sembra affisso sulle pareti dello scalo merci di San Lorenzo, in una Roma che se ne importa il giusto delle agorà democratiche. La città pensa solo ai veri giallorossi. Altro che M5s-Pd. Traffico paralizzato già alle 18. Tutti all’Olimpico, il vero campo largo. Roma in semifinale di Conference league. E  quindi, nel centro logistico C il vero “punto di riferimento fortissimo di tutte le forze progressiste” è Mourinho, il profeta di Setúbal, e non l’avvocato di Volturara Appula. Eppure all’appuntamento del Pd ci sono due persone che il capo del M5s lo conoscono bene: Nicola Zingaretti ed  Enrico Letta. Passato e presente del Nazareno. Ecco il segretario. Va fermato. “Conte? I problemi con lui sono inferiori a quello che sembrano”. Rimuovere, dissimulare.


Interviste, interventi pubblici, post su Facebook: il Pd non menziona Conte. Fa finta, o almeno ci prova, di non aver un alleato rumoroso, scomodo, che si incunea nei turbamenti della sinistra causati dalla guerra. Insomma, il Conte rosso. Il capo dei grillini ha commissionato al gruppo al Senato di acquistare nuovi sondaggi da Ipsos. Poi toccherà - a pagare - al gruppo alla Camera. L’ex premier del Movimento vuole sapere l’opinione della gente sulla guerra, sul pacifismo, sul caro bollette, sul costo della vita. “Ditemi le priorità degli italiani e io solleverò i sondaggi”, ripete. E così ieri eccolo di nuovo a polemizzare con il ministro della Difesa, il dem Lorenzo Guerini. Sempre lo stesso schema. Dal Pd dicono che non ci cascano. Non gli alzano la palla per schiacciare, niente corsa all’ultima dichiarazione. Per Letta è come se non esistesse. Molto divertente. Perché poi con questa legge elettorale alla fine sempre con i grillini dovrai fare i conti. 


Allo scalo di San Lorenzo c’è anche Francesco Boccia. Per gli amici Ciccio. Pugliese come Conte, ministro degli Affari regionali nel governo che gestì lo scoppio della pandemia. Ora è il responsabile degli enti locali dem. E dunque è alle prese con i 26 capoluoghi di provincia che a giugno andranno al voto. Al momento, dati aggiornati a ieri sera, il Pd correrà in tandem con il M5s in 18-19 città. Mancano all’appello Cuneo, Parma, Piacenza, Lucca, forse Como, Rieti, Oristano. Boccia si può stuzzicare su Conte, allora. Pare che lo senta due volte al giorno per le liste. Non drammatizza. E c’è chi fa notare che il vero problema, semmai, è con Iv e Azione, presenze episodiche in molti capoluoghi. Eppure il capo dei 5 Stelle sta al centro della scena. Attacca Draghi, offre il suo ombrello ai compagni di Articolo 1, lancia una scuola con intellettuali e docenti, tutti de sinistra (l’altro giorno a chi glielo faceva notare rispondeva così: “Scusi, ma lei in Italia conosce intellettuali di destra?”). Boccia parlotta con Andrea Casu, deputato romano e segretario cittadino uscente, e Bruno Astorre, senatore e capo dei dem del Lazio. Si parla del voto a Viterbo, Rieti, Frosinone. Quanta allegria. Ma Conte? “Ognuno deve campare”. E’ la risposta al tormentone. Ma non è che Conte si è messo in testa di campare su di voi e dunque di aggredire un elettorato contiguo, confinante per annetterlo, tipo Crimea? Alzata di spalle. Anche dal Nazareno dicono di no. “Lo spiegano i sondaggi, il M5s non cresce e non cala nonostante questa linea così netta. Insomma, non ci ruba voti”, è la risposta offerta. Sicché divorzio all’italiana e camere separate. Letta è una sfinge. E bisogna attaccarsi a queste dichiarazioni. A buon intenditor poche parole. 


Prima dell’agorà democratica, Letta in Senato, presentando un libro sull’enciclica “Fratelli tutti”, ha rilasciato una dichiarazione da rileggere. Questa: “Alla fine la vera questione del populismo, la vera forza è che esiste non per la sua capacità di mettere in campo proposte credibili ma perché parla a una parte della società che si sente non più interlocutrice della politica tradizionale. Penso agli Stati Uniti ma anche a casa nostra”. E quindi forse ce l’ha non solo con Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Sarebbe troppo facile. 


Letta in pubblico, davanti a cento persone di puro ceto politico locale, dirà che “lui per ora è al timone e Zingaretti alle vele, e che poi cambieremo”. Perché si sente un segretario “molto transitorio”. E’ convinto che dopo le amministrative il M5s si calmerà. Chissà. C’è chi dice l’opposto che sarà un’escalation grillina. Ma tra poco gioca la Roma e qui c’è un certo fermento. Ecco il vero campo largo, avanti governo giallorosso. L’unico che oggi sembra essere competitivo e unito.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.