Con Putin o con l'Europa? Il voto francese come specchio del mondo

Claudio Cerasa

La Francia come grande acceleratore delle divisioni globali che costringe la politica a scegliere da che parte stare: essere utili costruttori dell’Europa o essere utili idioti del putinismo

I risultati del primo turno delle elezioni francesi sono lì a offrirci molti spunti di riflessione ma per non perderci nei dettagli potremmo provare a inquadrare la portata della sfida tra Marine Le Pen (23 per cento) e Emmanuel Macron (27 per cento) affidandoci a una sintesi brutale, non distante dalla vera ciccia che sarà al centro del ballottaggio del 24 aprile. Da una parte ci sono gli utili costruttori dell’Europa, desiderosi cioè di far prevalere la logica della protezione europea sulla logica del protezionismo nazionalista. Dall’altra parte ci sono invece gli utili idioti del putinismo, desiderosi cioè di realizzare con tutte le forze, chissà quanto involontariamente, lo stesso sogno coltivato da anni dal presidente russo, allontanando progressivamente il proprio paese dalla Nato, ridisegnando i confini dell’alleanza atlantica, trasformando il rafforzamento dell’Europa nella vera minaccia al nostro benessere e sabotando ogni progetto di ulteriore integrazione europea, per far prevalere il sovranismo nazionalista su quello europeista.

Da questo punto di vista, come già successe nel 2017, la Francia è ancora oggi un formidabile acceleratore delle grandi divisioni del mondo. E il fatto che in cinque anni la politica transalpina per provare a ricercare un’alternativa al modello Macron sia riuscita a mettere insieme solo progetti di natura estremista (Le Pen, Zemmour, Melenchon) è lì a indicarci una verità  che coincide con la natura di ciò che c’è in ballo tra due settimane nel secondo turno delle presidenziali: non solo scegliere tra due candidati ma scegliere da quale parte del mondo stare di fronte alle grandi sfide della modernità. E le sfide oggi sono molto chiare. Rafforzare l’Europa oppure indebolirla?

  

Governare la globalizzazione oppure combatterla? Assecondare il complottismo oppure osteggiarlo? Investire sul mercato oppure demonizzarlo? Difendere la democrazia liberale oppure scommettere sulle sue alternative? Confrontarsi con i giganti del mondo muovendosi da giganti oppure rintanandosi nella strategia del topolino? Al contrario di quello che si potrebbe pensare il modello ancora potenzialmente di successo incarnato dal presidente uscente non indica un necessario trionfo del centrismo nel resto d’Europa. Ma suggerisce che di fronte alle grandi sfide del mondo scegliere di non fare una scelta chiara, rispetto alla propria collocazione politica, significa aver scelto già da che parte stare.

 

Macron è lì a ricordarci che le alternative ai progetti puramente europeisti coincidono spesso con progetti di natura estremista e l’elemento centrale delle ultime settimane di campagna elettorale corrisponde a una caratteristica della cultura francese che meriterebbe di essere messa a fuoco anche dalla classe dirigente italiana: la capacità di sapere individuare un pericolo vero per il paese e di attrezzarsi per fargli attorno terra bruciata.

 

E tra coloro che dovrebbero essere più degli altri spinti a capire cosa significhi mettere in campo idee ambigue ed equivoche quando si parla d’Europa ci sono certamente coloro che in Italia si riconoscono nella parola destra.

 

Matteo Salvini, da  cheerleader del vecchio putinismo, sta con Marine Le Pen. Giorgia Meloni, che da capo dei conservatori europei non può permettersi scorribande putiniste, condivide la piattaforma lepenista ma non ha inviato vigorosi messaggi d’auguri alla Le Pen (e ieri ha detto persino, altra sberla a Salvini, di “non essere rappresentata da nessuno al ballottaggio francese”). Il partito del Cav. considera invece l’affermazione della candidata della destra estrema come il peggiore dei mali possibili per l’Europa, ma non lo dice troppo ad alta voce. E se è vero che la Francia è un formidabile acceleratore delle grandi divisioni del mondo è altrettanto vero che di fronte alle grandi divisioni del mondo la destra italiana dovendo scegliere da che parte stare riesce sempre in modo quasi sistematico a stare dalla parte sbagliata della storia. Anche quando è costretta a rispondere a questioni non così complesse come quelle offerte dal ballottaggio francese: essere utili costruttori dell’Europa o essere utili idioti del putinismo.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.