La guerra sulle nomine. Così la crisi ucraina ridefinisce le prospettive sulle aziende di stato

Valerio Valentini

I dubbi di Draghi su Snam e Fincantieri. I colloqui con Descalzi per la questione del gas. Bono e Alverà verso l'avvicendamento. Da giorni sono attive due squadre di cacciatori di teste. Da Rivera a Giavazzi: così si muove la diplomazia del potere a Palazzo Chigi

Che gli sviluppi tempestosi della guerra in Ucraina possano avere pesanti ricadute sul prossimo giro di nomine, a Palazzo Chigi se ne sono resi conto quando hanno visto la nettezza con cui Mario Draghi ha chiesto ai suoi collaboratori, e poi ai vertici dell’Eni, come accidenti fosse possibile che dal 2014 l’Italia avesse aumentato la dipendenza energetica da Mosca. E la spiegazione ricevuta è stata a tal punto poco convincente, che poche ore dopo il premier lo stesso stupore lo ha mostrato coram populo, a Montecitorio. Era il 9 marzo. Due giorni dopo, il risiko su Snam, Italgas e Fincantieri sarebbe entrato nel vivo.

 

Venerdì scorso, infatti, è scaduto il termine per la presentazione delle candidature ai cda delle tre aziende sullo specifico portale del Mef. Da quel momento, due società di cacciatori di teste si sono messe all’opera, su indicazione di Via XX Settembre, per individuare i profili migliori. Un lavoro di scrematura che darà i suoi primi frutti a inizio aprile, in vista delle assemblee degli azionisti della  fine del  mese prossimo. Il tutto, lungo un asse che collega Francesco Giavazzi, consigliere economico di Draghi, e Alessandro Rivera, responsabile del Tesoro, e che lega entrambi  a Dario Scannapieco, grande capo di Cdp. Il metodo Draghi resta quello già sperimentato nella precedente tornata di nomine: trattative gestite in gran riserbo, con amministratori delegati e presidenti scelti  dal premier, per poi lasciare ai partiti il compito di spartirsi i posti in cda. 

 

E siccome nella strategia di Draghi rientra, come al solito, anche l’abitudine di contattare all’ultimo minuto i diretti interessati per annunciare loro la decisione assunta, sarebbe velleitario provare ad azzardare nomi e cognomi dei  papabili. Alcune regole d’ingaggio, però, quelle si iniziano a capire. 

  

Sul fronte della distribuzione energetica, ad esempio, a Palazzo Chigi sono convinti dell’esigenza di una svolta. Ed è in nome di questa convinzione che nei prossimi giorni Giavazzi avvierà le sue consultazioni. Quando Draghi ha chiesto spiegazioni sulla folle scelta di non rendersi meno dipendenti dai rubinetti di Putin dopo i fattacci del 2014, s’è sentito spiegare da Claudio Descalzi che con la Libia nel caos permanente, oltre all’Algeria e all’Azerbaijan restavano poche alternative, a Mosca. A parte, certo, l’opzione del gas liquido da Qatar e Usa: per il quale, però, si sarebbe dovuto investire ben più di quanto non si sia fatto sui rigassificatori. Di qui, dunque, se non una insoddisfazione da parte di Draghi per l’operato della gestione attuale di Snam, quantomeno una certa consapevolezza – condivisa anche col Mite di Roberto Cingolani – che prima di lanciarsi in progetti avveniristici ma incerti come quello dell’idrogeno, tema su cui l’ad uscente Marco Alverà, trasversalmente apprezzato, ha puntato molto, bisognerà concentrarsi sulle esigenze di più breve respiro. E allora, complice anche le trapelate volontà del presidente di Snam, Nicola Bedin, di cercare nuovi lidi, per la partecipata che distribuisce il gas in Italia potrebbe essere un momento di rinnovamento generale. E forse, ma è una delle molte ipotesi, potrebbe essere questa la volta di Claudio Granata, dirigente Eni che di cui già tre anni fa si parlava come del possibile sostituto di Alverà, e che ora potrebbe tornare in auge in un’ottica di rinnovata sinergia tra Snam e il cane a sei zampe. 

 

Se su Italgas la riconferma dei vertici attuali pare scontata, intorno a Fincantieri si intravedono invece grandi manovre. Anche qui, la guerra ha ridefinito le prospettive. E dunque, quella certa  volontà da parte dell’ad Giuseppe Bono di porsi quasi in competizione – spesso spregiudicata – col colosso Leonardo sul fronte militare, se già prima veniva sopportata con una certa insofferenza non solo dai vertici della Difesa ma anche dal Quirinale, ora viene considerata del tutto inappropriata. E  che l’aria sia cambiata deve averlo compreso lo stesso Bono, se sono vere le voci che lo vorrebbero già attivo nella ricerca di garanzie per una soluzione che lo manterrebbe  alla tolda di comando di Fincantieri, ma nel ruolo più defilato di presidente, forte comunque di una esperienza maturata sul campo con pochi eguali nel panorama italiana. E a quel punto, potrebbe esserci una promozione interna: quella di Giuseppe Giordo, che  però potrebbe  preferire attendere l’anno prossimo per fare sfumare la polemica legate all’affaire Colombia con protagonista Massimo D’Alema e giocarsi le sue carte sul tavolo grande di Leonardo, o quella di Fabio Gallia, attuale direttore generale della corazzata navale. 
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.