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Il catasto spiegato alla destra, e a chi non lo vuole capire. Parla Brunetta

Renato Brunetta

La casa non si tocca. E le tasse non aumenteranno. Cinque punti per smontare le bugie su una svolta importante. Ci scrive il ministro per la Pubblica amministrazione

"Fare politica economica significa tre cose: analisi della realtà, rifiuto delle sue deformazioni, impiego delle nostre conoscenze per sanarle”. La lezione indimenticabile di Federico Caffè è citata nel documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sulla riforma dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e altri aspetti del sistema tributario, approvata dalle commissioni Finanze di Camera e Senato il 30 giugno 2021. Alle parole di Caffè sono accostate quelle di Luigi Einaudi: “Conoscere per deliberare”. 

A entrambi gli insegnamenti si ispira l’articolo 6 del disegno di legge sulla delega fiscale, “Princìpi e criteri direttivi per la modernizzazione degli strumenti di mappatura degli immobili e la revisione del catasto dei fabbricati”: una misura esclusivamente di carattere programmatico e conoscitivo, che non comporta alcuna riforma dell’attuale sistema catastale, alcun aumento o modifica degli estimi, alcuna variazione delle tasse. Non si tratta, pertanto, di un intervento finalizzato a tassare la proprietà immobiliare, tantomeno la prima casa, ma a modernizzare un sistema ormai vicino a compiere un secolo di vita.  Ecco un contributo in cinque punti per fare chiarezza.

Il quadro di partenza

Secondo l’ultima edizione de “Gli immobili in Italia”, a cura del ministero dell’Economia e dell’Agenzia delle Entrate, gli immobili nel nostro paese sono circa 64,4 milioni, di cui 57,1 milioni di proprietà di persone fisiche. Le unità non riscontrate nelle dichiarazioni dei contribuenti sono quasi 2,1 milioni. La gestione delle banche dati catastali e lo svolgimento dei relativi servizi sono stati affidati dal 1999 all’Agenzia del Territorio, dal 2012 incorporata nell’Agenzia delle Entrate.

Il nostro sistema estimativo catastale risale alla legge 1249/1939 e le modifiche introdotte successivamente non ne hanno modificato l’impianto strutturale. Il dossier del Servizio studi della Camera relativo al ddl ricorda il tentativo del 2014 (legge n. 23) con cui si delegava al governo una revisione della disciplina relativa al catasto dei fabbricati: la delega, il cui termine di esercizio è scaduto nel giugno 2015, è stata attuata solo in parte, limitatamente alla ridefinizione delle competenze e del funzionamento delle commissioni censuarie.

La legge Finanziaria per il 2005 aveva, invece, disciplinato la facoltà di adeguare parzialmente le rendite catastali ai valori di mercato da parte dei comuni: vi hanno fatto ricorso 17 comuni, tra cui Roma e Milano, su circa 8.000. In materia di classamento degli immobili, l’Ufficio parlamentare di bilancio, nel testo presentato in audizione presso la Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale il 20 ottobre 2021, ha rilevato che “l’eccessiva ampiezza delle zone censuarie, che non riflette correttamente l’attuale eterogeneità del patrimonio immobiliare, e l’obsolescenza della definizione delle categorie catastali sono proprio i principali fattori che condizionano la rappresentatività dell’attuale sistema di rendite rispetto ai valori patrimoniali reali”.

A febbraio 2020, nel documento conclusivo, la Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria rilevava “l’obsolescenza del sistema estimativo catastale, in quanto fondato su una base normativa, mai sostanzialmente modificata, risalente al 1939, costruita in un contesto assai differente dall’attuale, e su una revisione generale degli estimi del catasto edilizio urbano risalente al periodo 1988-1989 (Dm 20 gennaio 1990)”. “Da una parte la necessità di semplificazione nei confronti dei cittadini e delle imprese – continuava il documento – e dall’altra l’esigenza di assicurare equità nella contribuzione patrimoniale, unitamente all’innovazione tecnologica e di uso delle banche dati, suggeriscono di arrivare alla creazione di un ‘cassetto’ che contenga tutti i dati relativi a ogni singolo immobile”.

I contenuti dell’articolo 6

In due commi l’articolo 6 declina i princìpi e criteri direttivi per l’esercizio della delega in materia di catasto, che prevede una semplice integrazione di dati – da completare non prima del 2026 – senza alcun effetto sulla modalità di calcolo della base imponibile dei tributi immobiliari. L’obiettivo generale della norma, come ha spiegato il presidente del Consiglio, Mario Draghi, il 5 ottobre 2021, dopo l’approvazione del ddl in Consiglio dei ministri, è quello di “costruire una base di informazione adeguata”: “Il contribuente medio non si accorgerà di nulla: l’imposizione fiscale su case e terreni rimarrà invariata”.

Il comma 1 indica i princìpi e criteri direttivi sulla base dei quali i decreti delegati dovranno rafforzare e modernizzare i meccanismi di individuazione e di controllo delle consistenze dei terreni e dei fabbricati. In primo luogo si dovranno prevedere strumenti, da porre a disposizione dei comuni e dell’Agenzia delle entrate, per facilitare e accelerare l’individuazione ed eventualmente il corretto classamento di tre fattispecie: gli immobili attualmente non censiti o che non rispettano la reale consistenza di fatto, la relativa destinazione d'uso ovvero la categoria catastale attribuita; i terreni edificabili accatastati come agricoli; gli immobili abusivi. In secondo luogo si dovranno prevedere strumenti e modelli organizzativi che facilitino la condivisione dei dati e dei documenti, in via telematica, tra l’Agenzia delle Entrate e i competenti uffici dei comuni, nonché la loro coerenza ai fini dell’accatastamento delle unità immobiliari. Il comma 2 stabilisce che il governo è delegato ad attuare un’integrazione delle informazioni presenti nel catasto dei fabbricati in tutto il territorio nazionale, da rendere disponibile a decorrere dal 1° gennaio 2026, e fissa i seguenti princìpi e criteri direttivi da seguire nell’esercizio della delega:

prevedere che le informazioni rilevate non siano utilizzate per la determinazione della base imponibile dei tributi la cui applicazione si fonda sulle risultanze catastali né, comunque, per finalità fiscali (lettera a);

attribuire a scopo informativo a ciascuna unità immobiliare, oltre alla rendita catastale determinata secondo la normativa attualmente vigente, anche il relativo valore patrimoniale e una rendita attualizzata in base, ove possibile, ai valori normali espressi dal mercato (lettera b);

prevedere meccanismi di adeguamento periodico dei valori patrimoniali e delle rendite delle unità immobiliari urbane, in relazione alla modificazione delle condizioni del mercato di riferimento e comunque non al di sopra del valore di mercato (lettera c);

prevedere, per le unità immobiliari riconosciute di interesse storico o artistico adeguate riduzioni del valore patrimoniale medio ordinario, che tengano conto dei particolari e più gravosi oneri di manutenzione e conservazione nonché del complesso dei vincoli legislativi rispetto alla destinazione, all’utilizzo, alla circolazione giuridica e al restauro di tali immobili. (lettera d). 

Come ricorda Claudio Togna in un intervento del 6 marzo su L’Occidentale, riconoscendo di aver cambiato idea dopo una prima reazione difensiva preventiva, già “tutta l’Amministrazione finanziaria conosce in tempo reale entrambi i dati: 1) il valore reddituale dell’immobile (e cioè quanto può rendere se affittato) su cui viene parametrata la rendita catastale ‘reddituale’ (fornito dagli uffici catastali); 2) il valore commerciale dell’immobile desunto dalle conservatorie dei registri immobiliari (Agenzia fiscale del territorio – Servizio di pubblicità immobiliare)”. Con l’articolo 6 – rileva Togna – ora “si rende ‘strutturale’ il raccordo tra l’Agenzia del Territorio e l’Agenzia delle Entrate. Niente di più. Non vi è nell’articolo 6, in effetti, alcun elemento da cui far discernere, automaticamente, la tassazione della prima casa”. Un’interpretazione di sistema della norma, e in particolare della lettera b) – aggiunge Togna – porterebbe ad escludere anche che la rendita catastale attualizzata ai valori normali e presi dal mercato divenga un elemento di una più complessa fattispecie dell’obbligo tributario, dovendosi integrare con le passività inerenti in forma strutturale al cespite. Lo stesso adeguamento periodico dei valori patrimoniali e delle rendite delle unità immobiliari urbane, in relazione alla modifica delle condizioni del mercato di riferimento, sembra rendere ancora più evidente che la futura rendita catastale “tenderà a inserirsi in una sorta di ‘statuto personale del contribuente’ in cui verranno considerate, in ossequio al principio costituzionale della capacità contributiva, anche le eventuali passività inerenti e strutturali a cespite”.
E’ lampante la differenza rispetto alla delega del 2014, che faceva leva sull’adeguamento contestuale delle aliquote d’imposta per assicurare l’invarianza del gettito fiscale: l’articolo 6 vieta espressamente di utilizzare i dati acquisiti per la determinazione della base imponibile dei tributi ed esclude la rilevanza di tali attività ai fini della rilevazione della capacità contributiva. 
I decreti legislativi non potranno mai contraddire la delega e nessun atto amministrativo potrà cancellare la norma primaria, secondo cui l’affiancamento dei valori di mercato al valore catastale non può essere usato per far pagare le tasse.

Gli obiettivi della mappatura

In sintesi, la riforma consentirà, dal 2026, di ottenere questi risultati:

attualizzare un catasto vecchio di 83 anni, superando l’obsolescenza della definizione delle categorie catastali, che è tra i principali fattori che condizionano la rappresentatività dell’attuale sistema, e mettendo fine alla modalità adottata, per esempio dal Governo Monti nel 2011, di applicare arbitrariamente e orizzontalmente un coefficiente di rivalutazione fisso degli estimi catastali per il calcolo del valore di ciascun immobile censito;

realizzare la mappatura degli immobili, che “non ci serve per aumentare le tasse, ma per capire lo stato del patrimonio immobiliare”, come ha affermato il ministro dell’Economia, Daniele Franco, in sede di audizione; 

individuare le “case fantasma” (cioè non accatastate) ovvero quelle per le quali i proprietari non pagano alcuna tassa, consentendo di avere un fisco più equo e trasparente, facendo per esempio pagare di meno “chi ha un immobile in un’area interna che ha subìto una caduta di valore”; 

combattere l’evasione di gettito che deriva dalle migliaia di immobili e terreni abusivi, nonché quei terreni agricoli su cui si è edificato, che gravano anche sulle spalle di chi paga il dovuto, su cui si ribalta una serie di costi, come la tassa raccolta rifiuti e varie imposizioni comunali;


impedire qualsiasi aumento di imposte o tributi a carico degli italiani che rispettano la legge.

Perché adesso

In ambito europeo, la necessità di una riforma catastale per aggiornare i valori era stata segnalata il 5 luglio 2019 nella raccomandazione del Consiglio per l’Italia. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza indica la riforma fiscale tra le azioni chiave per dare risposta alle debolezze strutturali del paese e, a pagina 28, fa esplicito riferimento alla Country Specific Recommendation del 2019 sulla necessità di “una riforma dei valori catastali non aggiornati”. L’intervento normativo con il ddl delega provvede all’integrazione informativa senza effetti fiscali e, dunque, senza attuare il contenuto della raccomandazione.
L’urgenza di una mappatura è, comunque, evidente leggendo il rapporto “Statistiche catastali del 2020” dell’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia delle Entrate. Le attività di fotoidentificazione hanno fatto emergere oltre 1,2 milioni di unità immobiliari urbane non censite in catasto. L’ultimo rapporto Istat “SDGS 2021. Informazioni statistiche per l’agenda 2030 in Italia” stima che nel 2020 il fenomeno dell’abusivismo edilizio si traduca in 17,7 costruzioni abusive ogni cento autorizzate, con una abissale differenza geografica: al nord il 6,1 per cento, al centro il 17,8 per cento e al sud il 45,6 per cento.
In sintesi, l’articolo 6 del disegno di legge delega fiscale, correttamente attuato, permetterà a ogni contribuente tra quattro anni di conoscere sia il valore fiscale sia quello patrimoniale della sua casa, adeguato alle condizioni di mercato. Solo nel 2026, in base ai dati raccolti e sistematizzati con gli strumenti previsti, il Parlamento e il governo avranno una fotografia aggiornata dei valori e potranno valutare se e in che modo realizzare una riforma del catasto, che comunque non produrrà, lo ribadisco, un aggravio tributario per chi già paga il dovuto. “Abbiamo un catasto del Novecento, non equo, e con la norma non c’è nessun aumento delle tasse”, ha sottolineato il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, intervenendo a sostegno dell’articolo 6.  Il governo Draghi si è preoccupato di un’unica esigenza, degna di un paese moderno: dotare i futuri decisori di una base dati per poter prendere in futuro decisioni informate. 

La casa non si tocca, né ora né mai

Al punto 11 della proposta di riforma del fisco datata 26 maggio 2021 e depositata da Forza Italia nelle commissioni parlamentari, si legge:
“La revisione del catasto va perseguita in una logica di ammodernamento senza comportare una tassazione occulta. In merito alla tassazione immobiliare si rigetta qualsiasi forma di reintroduzione dell’Imu sulla prima casa”. Questo è il principio politico che l’articolo 6 del disegno di legge delega fa valere, neutralizzando ogni effetto fiscale dell’intervento sul catasto. Gli estimi, le rendite e i valori patrimoniali per la determinazione delle imposte rimangono quelli attuali. Nessun impatto si avrà sui redditi rilevanti per le prestazioni sociali. Si tratta, dunque, di una riformulazione volta esclusivamente ad ammodernare il patrimonio informativo e statistico e testarlo con i dovuti tempi nei suoi possibili riflessi. 
Il 4 ottobre 2021, alla vigilia del Consiglio dei ministri in cui la delegazione di Forza Italia al governo ha approvato il disegno di legge delega su cui, invece, la Lega si è astenuta, il vicepresidente del partito, Antonio Tajani, sottolineava con chiarezza in un’intervista che “Forza Italia contrasterà ogni intervento che possa alzare le imposte”, riconoscendo che “Draghi ha assicurato che non ci sarà un euro di aumento. La casa non si tocca”. 
Il 6 ottobre, all’indomani del varo in Cdm, in un’altra intervista, Tajani aggiungeva: “Ci siamo molto impegnati per evitare un aumento delle tasse e abbiamo fiducia in Draghi. E’ nostra la battaglia per abbassare le tasse sulla casa, su Irpef e Irap, e si va nella giusta direzione se fino al 2026 non ci saranno aumenti. E’ anche una nostra vittoria. Vigileremo in Parlamento sulla legge delega, per evitare tentativi surrettizi da sinistra”. 

Esattamente la posizione dei ministri di Forza Italia. “Come chiesto da noi e confermato da Draghi – le parole di Mariastella Gelmini – le tasse sulla casa non aumenteranno”. Nessun esecutivo sostenuto dai voti di Forza Italia potrà avallare, anche dopo il 2026, una riforma del catasto punitiva che sprema ancora di più il settore immobiliare o che si abbatta sul ceto medio con l’alibi dell’equità nell’invarianza di gettito complessivo. Noi terremo la barra dritta. La casa degli italiani non si tocca, né ora né mai. 

Renato Brunetta
ministro per la Pubblica amministrazione

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