Il bottone di Putin

Non solo Dostoevskij. Perché la cultura russa è parte di noi. Intervista a Serena Vitale

Maurizio Crippa

La grande slavista in difesa della letteratura e dell'arte della Russia: senza quegli autori ci mancherebbe l'80 per cento della nostra cultura. Assurdo fare delle liste di proscrizione

Per un giorno gli italiani si sono scoperti tutti lettori di Dostoevskij, cosa che non sono, o peggio ancora orecchianti di letteratura comparata – soprattutto quelli che hanno tentato di giustificare la bislacca teoria per cui, se insegni in università uno scrittore russo, devi bilanciare con uno scrittore ucraino: che è più che altro un modo per affossare il russo, praticaccia del resto già vista in altre situazioni e latitudini. Polemica di giornata su cui Serena Vitale non vorrebbe nemmeno tornare, tanto le pare soltanto stupida.

 

Preferisce ricordare, appassionata come sempre, che senza la grande letteratura russa dell’Ottocento e del Novecento “non esisterebbe il 60 o anche l’80 per cento della cultura europea. Siamo debitori di Dostoevskij, di Tolstoj, di Puskin, di Pasternak. Sono parte costitutiva dell’Europa”.

   

Poi ci sono anche gli scrittori ucraini… “la piccola Russia, veniva chiamata”, irrompe con passione: “Gogol’, e Babel’, Bulgakov, Grossman. Fanno parte a pieno titolo della letteratura e della cultura dell’Ucraina, e allo stesso modo di quelle russe. Ma cosa vogliamo fare? Non leggerli più perché un dittatore – a mio parere da qualche anno fuori controllo, anche psichico – sta compiendo le nefandezze che sta compiendo? Le bombe a grappolo, i bambini in prigione. Lei può immaginare la mia indignazione. Ma dovrei buttare il mio Puskin?”.

  

Slavista, docente di Letteratura russa, traduttrice, Serena Vitale è innanzitutto una raffinata scrittrice che ama la Russia e il mondo slavo, capace di superare i confini del saggio accademico. Come nel suo Il bottone di Puskin, straordinaria ricostruzione archivistica e filologica degli eventi che portarono alla morte in duello dello scrittore, o il più recente Il defunto odiava i pettegolezzi, che ricostruisce invece come in una detective novel il suicidio di Majakovskij.

  
Serena Vitale preferirebbe parlare della ricchezza della cultura russa, “che non può essere certo bruciata per colpa di Putin, bisogna tenere distinte le sue responsabilità e anche dal suo popolo: quando vedo quelle madri, quei soldati, con le loro facce di fame”.

 
Epperò, il rischio degli eccessi di zelo, di mettere tutto e tutti nella stessa lista di proscrizione esiste. Sanzionare l’espressione istituzionale e statuale della cultura russa  – persino la Fiera del Libro per ragazzi di Bologna ha sospeso il padiglione russo  – deve avere un senso preciso e per così dire chirurgico. Sollecitare prese di posizione di singoli artisti, o stilare liste che mescolano fiancheggiatori politici e voci liberamente critiche è un’altra cosa. Ma la stiamo vedendo. “Mi lasci dire una cosa sulla Scala (che ha rimosso da una direzione Valery Gergiev, ndr). E’ stata una stupidaggine, significa che chi l’ha decisa non conosce nulla della cultura russa. A partire dal fatto che per un artista russo una presa di posizione di quel tipo significherebbe non poter tornare più a lavorare in patria. E se poi Gergiev è amico di Putin, sono affari suoi. La vicenda di Dostoevskij è pura ignoranza, e da parte di una università. Negli anni di insegnamento non mi è mai venuto in mente che si dovessero buttare i libri di nessuno, eppure le occasioni ci furono, eppure criticavo apertamente, anche sui giornali, il regime sovietico. Mio marito è praghese, era nella brigata dei pittori: quando venivano i russi in visita dovevano dipingere di verde l’erba nei prati, dico sul serio. Ma mai gli è venuto in mente di non amare la letteratura russa”.

 

E non bisogna farlo adesso, insiste Serena Vitale: “Dobbiamo anzi tenere vivo il legame. Come del resto, almeno fino a non molti anni fa, il legame tra la cultura russa e quella ucraina non si è mai interrotto. Gli ucraini si sentono, e non da ora, degli europei. Ma si sentono così anche molti russi, e scrittori russi”. Ma gli scrittori russi di oggi hanno lo stesso rapporto con l’Europa di quelli di un secolo fa? “La letteratura russa contemporanea non vive un grandissimo periodo, i cambiamenti sono stati profondi. Ma sarebbe sbagliato pensare che ci sia solo una letteratura di regime, ci sono molte voci interessanti: le vogliamo zittire? Un appello da distinguere, insomma. “Prima di tutto a conoscere. Poi dovremmo fare come suggeriva Tolstoj: cominciare a capire di chi è la colpa, e poi decidere con la nostra testa. Ma mi lasci dire: se i russi toccano la cattedrale di Santa Sofia, come sento minacciare, come hanno toccato Babij Jar, il memoriale dello sterminio degli ebrei a Kyiv, questo non è ammissibile. E per me è particolarmente straziante”.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"