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la chiesa e la guerra

Le divisioni del Papa sull'Ucraina

I politici cattolici tra pace, pacifismo e intervento

Maurizio Crippa

“La guerra non ripristina i diritti bensì ridefinisce i poteri”, scriveva Hannah Arendt. L'invasione dell'Ucraina, che chiude l'Ottantanove e rilancia la Guerra fredda, costringe i cattolici in politica a una nuova riflessione. Paradossalmente, è un cattolico-non politico e non cristiano-democrativo come Draghi a dare il segnale. Le idee di Delrio, Castagnetti, Borghesi. Storia e teologia  

“La guerra non ripristina i diritti bensì ridefinisce i poteri”. Meglio partire da Hannah Arendt, che non era cattolica e non era politica. La sua celebre frase è stata ripresa da più parti in questi giorni. Un giudizio acuto con cui tutti dovremmo fare i conti, soprattutto in Europa – la parte del mondo in cui il concetto di guerra e di distribuzione dei poteri in base alla forza è stato più a lungo dimenticato.

Il giudizio sulla guerra di Arendt sembra l’opposto di quello di Papa Francesco, che nella Fratelli tutti ha scritto: “Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato. La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male”. Il Papa dei gesti “profetici”, non ultimo recarsi di persona all’ambasciata russa, ieri, Mercoledì delle ceneri, aveva chiamato a una giornata di digiuno per la pace: il suo appello è stato raccolto da molti fedeli, un po’ dai politici di estrazione cattolica, ma non ha sfondato il muro del silenzio come accadde nel 2013 contro la guerra in Siria. L’impressione è che per i cattolici le opzioni pacifiste siano più difficili da mettere in campo. E non soltanto quelle chiassose di sinistra: “Non si sente la voce del pacifismo. E’ troppo fievole”, ha ammesso padre Alex Zanotelli; del resto, di fronte a una guerra d’invasione, certe idee non hanno molta tela da tessere. Ci si scontra con una dimensione inedita. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia non è un atto di guerra paragonabile ad altri (forse solo le Twin Tower ebbero una tale forza di “ridefinizione dei poteri”). Ora c’è una guerra, ed è in Europa, che non lascia scappatoie. L’inizio del discorso di Mario Draghi in Parlamento è una sintesi perfetta di questo cambio d’epoca: “L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia segna una svolta decisiva nella storia europea. Negli ultimi decenni, molti si erano illusi che la guerra non avrebbe più trovato spazio in Europa”.

Draghi ha demolito alcune illusioni non durature, come quella che si potessero “dare per scontate le conquiste di pace, sicurezza, benessere che le generazioni che ci hanno preceduto avevano ottenuto con enormi sacrifici”. Scandito con l’asciuttezza di un non politico, è una presa d’atto drastica e senza alternative. E’ finito il Novecento, ma anche il post Ottantanove. Ed è particolarmente significativo che a dirlo sia una personalità accreditata di una privata biografia cattolica, ma completamente estraneo rispetto alla storia della famiglia politica cristiano-democratica europea. E che però ha concluso il suo intervento citando Alcide De Gasperi, il leader democristiano della scelta euroatlantica.

 

Ieri è toccato al Papa, che aveva convocato i cristiani con parole radicali: “Gesù ci ha insegnato che all’insistenza diabolica della violenza si risponde con le armi di Dio”. E le armi della politica? E la politica delle armi? L’adesione di fedeli e organizzazioni non è mancata, un po’ meno quella dei politici. Anche se ieri nella chiesa della Camera si sono ritrovati in digiuno e preghiera esponenti di vari partiti, dal centrodestra al Pd a Fratelli d’Italia alla Lega. Tutti parlamentari, tolti i leghisti, che però hanno votato anche le risoluzioni del governo, capitolo armi comprese. Antonio Palmieri di Forza Italia, in questi giorni impegnato sul fronte del suicidio assistito, ha chiarito il senso in un tweet: “Ho partecipato alla preghiera per la pace nella chiesa di @Montecitorio e sto digiunando. Ieri ho votato la risoluzione di invio aiuti e armi a difesa della libertà in #Ucraina. Le due cose stanno insieme. La pace è assenza di guerra ma richiede anche libertà”. Una prospettiva molto diversa da quella del pacifismo di base, ma anche – sembrerebbe – dal no alla guerra senza se e senza ma del magistero. E’ un paradosso che non teme di affrontare Graziano Delrio, deputato del Pd e che ieri era presente al momento di preghiera: “C’è un giudizio molto preciso, che intende mettere in pratica esattamente l’indicazione tradizionale della Chiesa, e quella di Francesco: non bisogna arrendersi alla psicosi bellicista, la pace non è costruire due regni del terrore che si fronteggiano”. Certo, spiega Delrio, oggi si sta con l’Ucraina con tutto il sostegno possibile, di armi pure, se serve, ma “non possiamo tornare a prima della Pacem in terris, lo scopo della politica è una strategia di lungo periodo che costruisca la convivenza pacifica. Oggi c’è una guerra cui opporsi, ma lo si fa sapendo che la guerra è una sconfitta, non un diverso punto di equilibrio”. Riflette Delrio che la posizione tradizionale e il magistero della Chiesa non sono un astratto irenismo sorpassato dagli eventi, da una “ridefinizione dei poteri” che sembra pronta a spazzare via la “fine della storia” post Guerra fredda: “La via della Chiesa è ‘anche’ politica: è giusto resistere all’oppressore, ma detto questo, la logica europea deve essere un’altra. Non saranno la Germania o la Francia che si riarmano a garantire la pace, ma la ricostruzione di un equilibrio, di una convivenza. Non è un caso che i tre politici che fecero l’Europa fossero cattolici”. Ma la nuova fase è poco maneggevole.

Di fronte a una guerra che ha tutti i crismi della “guerra giusta”  e alla richiesta pressante di intervento – non solo economia e soft power, mai così dispiegati, ma invio di armi e mobilitazione di contingenti Nato – il margine di elaborazione di una terza via appare ridotto.  Anche la prudenza tradizionale – il rifiuto del conflitto e l’equidistanza tra i belligeranti (o l’equivicinanza di andreottiana memoria) sempre appoggiandosi alla Costituzione – pare una strada oggi debole. Basterebbe a segnalarlo la difficoltà delle diplomazie vaticane, ufficiali e parallele. O il fatto che il politico di provenienza cattolico-democratica di più alto rango oggi in Italia, il segretario del Pd Enrico Letta, sia uno dei più espliciti sulla linea belligerante. Per Pierluigi Castagnetti, storico esponente del cattolicesimo dem, discepolo del costituente Dossetti, il dissidio però non c’è, anzi proprio nel radicamento nella Costituzione la visione costruttrice di pace del cristianesimo si rafforza. Obiettivamente, dice, “cambia la realtà storica, di fronte alla manifestazione così inquietante e inaccettabile di violenza. Ma il valore della risposta unitaria è ancor più decisivo”. Per la prima volta, l’Italia sceglie di contribuire anche sul piano delle armi: non è una contraddizione per la tradizionale visione cattolica? “Innanzitutto, davanti all’esigenza di un processo sanzionatorio, è tutta l’Europa che ha deciso, non l’Italia. E proprio  radicare nel contesto internazionale questa risposta a una aggressione violenta conferma la forza del nostro articolo 11 della Costituzione. Quando fu scritto, e Dossetti era fra i padri di questo articolo, si cominciò a parlare di ‘rifiuto’ della guerra, ma si arrivò al ‘ripudio’, espressione molto più forte. Per quella generazione di Costituenti era chiarissimo il senso e l’obiettivo. Oggi radicare nelle scelte europee l’opposizione alla guerra, perché l’obiettivo è ripristinare la convivenza, è esattamente in continuità con quella visione. La guerra aggrava i problemi, non li risolve”.

E’ un lungo percorso, pieno di sfumature e di posizioni che variano nel tempo e nei luoghi, quello della Chiesa rispetto alla guerra. Sempre ferma restando, perché nessuno l’ha mai rinnegata, la nozione di guerra giusta difensiva. E il caso attuale non ha bisogno di spiegazioni. In un saggio molto esaustivo di qualche anno “Chiesa, pace e guerra nel Novecento” (il Mulino), lo storico Daniele Menozzi, specialista su questi aspetti della storia della Chiesa, ha mostrato come l’evoluzione della dottrina verso un rifiuto totale della guerra sia un percorso irreversibile dopo la Seconda guerra mondiale. Eppure la storia non si è fermata lì, e la necessità di adattare i princìpi ai tempi è evidente. Così, dopo la fine della Guerra fredda, quando sembrava che la posizione figlia del Concilio di Papa Giovanni avesse chiuso il dibattito, con la stagione del terrorismo islamista ha preso voce un cattolicesimo più atlantista che è giunto a sostenere apertamente la guerra guerreggiata su motivazione religiosa, insomma la stagione che fu detta “teocon”. Oggi la nuova spartizione degli equilibri tra democrazie e “imperi del male” sembra togliere altro terreno alla via della pace. Non la pensa così il filosofo della politica Massimo Borghesi, autore di saggi molto critici su questa tendenza “a schierarsi” della Chiesa. Sul suo blog, ha appena ripubblicato una lunga intervista del 2014 in cui Henry Kissinger denunciava i rischi della situazione ucraina. “Ogni conflitto porta con sé voglia di conflitto, ma non bisogna cadere in questo trappola”, riflette. “Questo è il realismo che la Chiesa insegna e di cui Bergoglio è voce molto udibile e mi sembra anche molto ascoltata. L’Europa deve stare, ora, con tutta la forza, in difesa dell’Ucraina. Ma l’Europa ha un compito, ed è di non soggiacere alla logica di guerra, amico/nemico. L’Europa deve avere per obiettivo ricostruire uno spazio di convivenza che sia anche per la Russia”. E’ questa la visione della pace, che è una costruzione, secondo la Chiesa, spiega Borghesi: “La pace come l’obiettivo unico della politica. Politica di pace oggi più che mai nel pensiero cattolico vuol dire mediazione. Ma da molti anni è prevalsa in alcune componenti l’idea che la politica sia invece schierarsi. L’islam, ora Putin, la Cina. Non è così, tantomeno nel magistero di Giovanni Paolo II, di Benedetto XVI”. Quindi, la linea giusta quale sarebbe? “In questo momento, è ‘salvare il salvabile’. Che la guerra duri il meno possibile, perché ogni giorno è una devastazione per il popolo ucraino. E sforzarsi di ricostruire condizioni perché, prima o poi, anche la Russia possa tornare in un contesto di coesistenza pacifica. Ci furono gli accordi di Helsinki, no? Questo è costruire la pace: l’opposto della tentazione – molto forte, specie da parte americana – di radicalizzare una logica di guerra”. C’è qualche politico cattolico che secondo lei ha più chiara questa prospettiva: “Penso a Romano Prodi, alle cose che va dicendo in questi tempi. E le dice perché fa parte di una cultura, anche ecclesiale, estranea a quella logica dello schieramento. Anche Angela Merkel, a ben guardare, si è sempre mossa in quella logica di compromesso, che è figlia di quel pensiero. Il modo più giusto per i cattolici di aiutare l’Ucraina è schivare la trappola di essere riportati alla Guerra fredda”.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"