(foto Ansa)

il fronte italiano

Draghi di resistenza: "L'Italia non si volterà dall'altra parte. Noi a fianco dell'Ucraina"

Carmelo Caruso

"Tollerare una guerra di aggressione vorrebbe dire mettere a rischio la pace e la sicurezza in Europa", dice il premier in Parlamento. Nel suo discorso più politico da quando è a Palazzo Chigi

Ha chiesto chi siamo e cosa scegliamo tra la luce e la caverna, tra la giungla e la resistenza. Il Parlamento ha scelto la resistenza. Siamo al fianco dell’Ucraina. Mario Draghi si è rivolto prima al Senato e dopo alla Camera per sapere se siamo pronti a fare i conti con la storia “e non quella passata, ma quella di oggi e di domani”. L’Italia “non si volterà indietro” perché “tollerare una guerra di aggressione vorrebbe dire mettere a rischio in maniera irreversibile la pace e la sicurezza in Europa”. E non c’era retorica, che è la colonna sonora di tutte le guerre, nella frase: “Quella che abbiamo davanti è una battaglia”.

Aveva la consapevolezza di vivere “una svolta decisiva”, era convinto di partecipare a una giornata che purtroppo sarebbe stata ricordata e dunque si è ricordato che le cose migliori, quelle che restano, sono quelle che si dicono a “braccio”. Quando Mario Draghi è andato a “braccio” ha spiegato che adesso tutto è marginale anche fare il conto degli errori. Voleva evitare il “processo” che è la ginnastica italiana. Ha smontato i pacifisti alla panna (“per cercare la pace bisogna volerla e chi schiera 60 km di blindati, a Kyiv, non vuole la pace”) ma ha pure ascoltato gli svalvolati che lo hanno definito “illegittimo, illegale” e tante altre cianfrusaglie linguistiche.

Anche il voto, l’urna, a volte, causa devastazioni. Un uomo come Roberto Calderoli, uno che mattane ne ha fatte molte nella sua vita, sembrava quasi un padre della Repubblica: “Solo i fuori di zucca possono votare contro le parole del presidente. Stiamo uniti”. Ad attendere Draghi c’erano i suoi ministri. Lorenzo Guerini entrava in Aula a passo cadenzato. Roberto Garofoli prendeva posto per primo con i suoi occhiali alla Gobetti. Roberto Cingolani stringeva i suoi dossier energetici. Dicono che sappia a memoria tutti i numeri dello stoccaggio, delle nostre riserve di gas. Fino a poche settimane fa, questi ministri, erano sicuri che avrebbero cambiato mestiere mentre oggi sono certi che il giorno in cui si concluderà, e se si concluderà, anche loro potranno tornare a casa e iniziare a dimenticare.

Era questo, raccontano, che il premier volesse spiegare quando ha parlato di “quei grossi cambiamenti”, quella sensazione che tutti noi stiamo provando. Sembrava dunque uno storico, quando diceva che “stiamo entrando in un periodo completamente diverso da tutto ciò che abbiamo visto finora, un periodo esistenziale in cui il futuro cambierà radicalmente”. Era un testo meditato. Lo sono tutti, e lo sono sempre da chi pazientemente li assembla, Ferdinando Giugliano. Ma questa volta garantiscono che la citazione dello storico Robert Kagan fosse di Draghi. E’ presa da Kagan la frase, il concetto della “giungla della storia che è tornata”. Ma Draghi ne ha allargato il senso: “Le sue liane vogliono avvolgere il giardino della pace in cui eravamo convinti di abitare”. Era efficace perché separava il mondo non tra oriente e occidente e neppure tra aggressori e aggrediti. Era una distinzione ben più profonda. Era tra selvaggi e civili, tra i sacchi di sabbia di Kyiv e lo zucchero filato di Parigi, tra la risata di Zelensky e il ghigno di Putin. Solo ora, aggiungeva, il suo disegno rivela “i contorni nitidi”, con quella minaccia da dottor Stranamore di farcela pagare “con conseguenze mai sperimentate prima nella storia”.

Scrittori, psicanalisti, giornalisti… Sono centinaia coloro che si esercitano sulla psicologia dei dittatori ma per Draghi la verità era che “Putin ha considerato gli europei degli impotenti. Ebbene, si sbagliava”. E’ la vecchia idea dello scrittore Curzio Malaparte che ci ha pure scritto un libro “Mamma marcia”. L’Europa come una carcassa guasta, appunto marcia. E invece per Draghi era il contrario: “Ci siamo scoperti uniti e forti”. E infatti annunciava che si arriverà anche alla difesa unitaria. Al momento l’Italia invia forze speciali, paracadutisti, incursori, sempre sotto l’ombrello Nato. La lista delle armi resta invece secretata. Lo avrebbe chiesto Josep Borrel, che è il ministro degli Affari Esteri europei. Sono armi che passeranno sotto terra, sotto i tunnel, dove stanno adesso “i fratelli” ucraini. Nei tunnel.

Di più su questi argomenti:
  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio